
In alto l’ex revisore generale del Papa, Libero Milone
«Poi in Vaticano giravano buste con denaro contante; nell’ufficio di un cardinale ne abbiamo trovata una di plastica, di quelle della spesa, con mazzette di banconote per 500mila euro. Al Bambin Gesù abbiamo analizzato le donazioni della vecchia gestione, fino al 2015, e verificato che 500mila euro destinati alla Fondazione erano poi finiti, attraverso società di dipendenti, a finanziare partiti politici per le elezioni del 2013». Dopo cinque anni dal suo siluramento con le accuse mai formalizzate di peculato e spionaggio, l’ex revisore generale del Papa, Libero Milone, 74 anni, abbandona i giri di parole e apre l’armadio degli scheletri del Vaticano. Vecchie inedite storie che si saldano con fatti nuovi.
«Dieci milioni di risarcimento»
A Roma, nello studio dell’avvocato Romano Vaccarella, insieme all’ex collega vice-revisore Ferruccio Panicco, 63 anni, collegato in videoconferenza, l’ex numero uno in Italia della Deloitte annuncia di aver citato per danni la Santa Sede. Chiedono, con un atto depositato al tribunale del Papa, 9,6 milioni di risarcimento, «anche per i 20 anni di vita che il Vaticano mi ha tolto – afferma Panicco – privandomi delle carte sanitarie sequestrate in ufficio con il resto e non più riconsegnate: avevo tutto lì, mi hanno impedito di diagnosticare in tempi più rapidi un cancro alla prostata che ora è al quarto stadio».
L’inchiesta penale
Gli scheletri sono quelli che Milone ha visto (e sistematicamente denunciato al Papa, sostiene) quando da 007 finanziario (2015-2017) ha bussato a molte porte dentro le sacre mura: alcune si sono aperte altre no. Ha indagato troppo e gli hanno fatto terra bruciata intorno, a cominciare dall’allora arcivescovo Angelo Becciu come lui sostiene? Resta la sua versione a cui si contrappongono le accuse di spionaggio e peculato che ora si sono concretizzate in un’inchiesta penale a suo carico. È l’altra novità: da alcuni mesi Milone è formalmente sotto inchiesta per peculato e abuso d’ufficio in quella che sembra la riesumazione di un fascicolo «in sonno» sottoposto ufficialmente a «segreto pontificio». Lunedì sarà interrogato per la seconda volta.
Il redde rationem
Insomma siamo a un redde rationem durissimo, che matura evidentemente, dopo il fallimento di una conciliazione con il Segretario di Stato, Pietro Parolin. Si è rotto l’argine e ora Milone è pronto ad allegare tutte le carte nel procedimento civile avviato presso il tribunale del papa con la citazione per danni («con il falso marchio addosso di spioni non abbiamo più lavorato») depositata il 4 novembre. Ma cosa racconta Milone dei suoi due anni a spulciare bilanci e fatture nelle decine di enti del Vaticano? Bisogna tener conto che i fatti non sono recenti e nel frattempo il sistema economico vaticano si è radicalmente evoluto (complice anche la scandalosa vicenda del Palazzo di Londra) compiendo passi da gigante verso la trasparenza e le più moderne prassi internazionali. L’approccio di Milone era quello del revisore con esperienza di grandi aziende (Fiat) tra Europa e Stati Uniti. Suoi interlocutori/controparti, invece, erano i preti con le stellette, abituati a logiche e prassi decisamente fuori dall’ordinario, dal tempo e spesso anche dalle regole.
La lettera riservata al Papa
«Nel mio periodo ho esaminato fatture e pagamenti che riguardavano prelati, cardinali, vescovi. Questo è il lavoro tipico del revisore, non è spionaggio». In una lettera riservata al Santo Padre del 6 ottobre 2015 Milone, arrivato da pochi mesi già segnalava situazioni assai critiche:
1) «L’illegale coinvolgimento dell’Ospedale Bambin Gesù – si legge nell’atto di citazione, sottoposto al vaglio del tribunale con i documenti allegati – nell’acquisizione dell’Idi e dell’Ospedale San Carlo»;
2) «L’occultamento di fondi da parte della Congregazione della dottrina della fede»;
3) «Le distrazioni di fondi da parte del Pontificio consiglio per la famiglia»;
4) «I gravi conflitti di interesse di importanti esponenti della Prefettura degli affari economici»;
5) «L’ostruzionismo dell’Apsa ad ogni controllo e verifica dei conti». In un’altra nota riservata (sono tutte allegate alla citazione) l’ex revisore segnalava «l’illegale finanziamento da parte dell’ Ospedale Bambin Gesù alla Fondazione Monti di 50 milioni in evidente conflitto di interesse …conflitto segnalato, come sempre senza seguito alcuno, al promotore di giustizia», cioè la Procura del Papa.
«Ostentato disinteresse» dei pm
Tra i documenti depositati dal professionista vi è anche una lettera del novembre 2015 di Mariella Enoc, neopresidente del Bambin Gesù, «che segnala l’anomalo impiego di cospicui fondi per il restauro dell’appartamento di un cardinale». Lettera e risposta del cardinale sono state spedite «come sempre invano» al promotore di giustizia. A fine 2015 in un memo riservato al segretario particolare del Papa, Lahzi Gaid veniva segnalata, tra l’altro, «l’insufficiente collaborazione – ovvero ostentato disinteresse – da parte del promotore di giustizia e dell’Aif (l’ente antiriciclaggio, ndr), per le iniziative in chiaro odore di riciclaggio».
Il Bambin Gesù e i soldi nel 2013 ai partiti
Nel marzo 2017 viene redatta – ed è oggi agli atti – una dettagliata relazione sui conti allo Ior dell’Ospedale Bambin Gesù relativa al periodo 2009-2015. Secondo Milone sarebbero «spariti 2,5 milioni di euro donati dalla Fondazione Bajola Parisani per la realizzazione di un nuovo reparto». Al suo posto è stata messa una targa all’ingresso di un vecchio reparto. Poi c’è il caso di un bonifico da 500mila euro dall’Ospedale alla sua Fondazione, in teoria per una campagna di marketing «in realtà destinati al finanziamento illecito di partiti» nelle politiche del 2013 dopo il transito attraverso società di dipendenti.
L’appartamento di Giani
Sempre nella relazione del marzo 2017 sui conti dello Ior viene segnalato «l’illecito utilizzo di fondi della Gendarmeria per coprire la quota delle spese di ristrutturazione (170mila euro) a carico del comandante Domenico Giani». Mons Carlos Nannei dell’Opus Dei, amico del Papa, voleva chiarimenti – racconta Milone – sulla questione dell’allora capo della Gendarmeria, «ci siamo incontrati e io gli ho consegnato la relazione da dare al Santo Padre».
La busta della spesa (da 500mila euro) del cardinale
Un capitolo riguarda la Congregazione Dottrina della Fede che, secondo l’ex revisore, «riceveva soldi molto spesso in contanti o assegni e una parte venivano versati su un conto allo Ior. Quando abbiamo fatto la revisione abbiamo visto che quel conto era del Prefetto e non dell’ente, si trattava di 250mila euro». Prefetto allora era il cardinale tedesco Gherard Müller. Ma non sappiamo, e Milone non dice, se il cardinale utilizzasse per sé quel conto o era totalmente al servizio della Congregazione. Quindi potrebbe essere solo una prassi contabile da terzo mondo, «padronale». Milone ricorda un altro episodio, ovvero il ritrovamento «nell’ufficio di Müller di una busta di plastica della spesa dove c’erano mazzette di banconote per 500mila euro, Panicco ha visto il sacchetto: tutto ciò è stato scritto in una relazione al Papa che sarà allegata come le altre all’atto di citazione». Nello Stato vaticano il potere di chiunque si ferma dove comincia quello, assoluto, del Papa. Il revisore ha segnalato ma il Papa non risulta che sia intervenuto. Forse c’era una spiegazione banale alla presenza di così tanto denaro contante. E comunque nelle prassi felpate del potere vaticano spesso pene e punizioni si nascondono dietro promozioni e cariche onorarie.
L’Apsa e il trust a Jersey
Nella Società Agricola San Giuseppe controllata dall’Apsa c’era un buco di «800mila euro per mancato pagamento degli affitti e prestiti fatti a varie società e mai restituiti», denuncia Milone sostenendo che la gestione familistica, riconducibile al cardinale Domenico Calcagno, avrebbe danneggiato l’azienda. Puntando la lente sull’Apsa («esplicita richiesta del Santo Padre di far chiarezza sull’intero patrimonio») emerge il caso dell’acquisto di un prestigioso immobile a Londra-Kensington per 90 milioni «attraverso un trust di Jersey, dietro al quale non abbiamo mai capito chi ci fosse». Il cardinale Calcagno «provvedendo all’acquisto nella duplice qualità di presidente dell’Apsa, per il 50% e del Fondo Pensioni vaticano, altro 50%, non solo aveva violato la legge antiriciclaggio ma aveva illegalmente ignorato l’esplicita contrarietà all’acquisto espressa dal Prefetto della segreteria per l’Economia, al quale spettava la decisione finale». Anche le fatture pagate per le consulenze sono state oggetto di segnalazioni del revisore. Si va dai quasi tre milioni pagati all’avvocato americano Jeffrey Lena, storico legale Usa della Santa Sede, ai 10 milioni di Promontory. «Si tratta di una sommarissima e parzialissima elencazione della miriade di (eufemisticamente) “irregolarità” rilevate dal Revisore Generale man mano che, superando ostruzionismi e resistenze di ogni tipo, acquisiva documentazione di una gestione quanto mai opaca e allegra del patrimonio della Santa Sede».
La geolocalizzazione di Mammì
Intanto su richiesta dei legali di Milone direttamente a Parolin è stato tolto il segreto Pontificio dagli atti della vecchia indagine su Milone che sembrava “morta” dopo le dimissioni del giugno 2017. Contestualmente con numero di registro 13/2022 è stato riattivato il procedimento con nuovi atti di indagine. E risulta ai legali di Milone che sia stato interrogato anche Carlo Nencioli della Falco Investigazioni di Arezzo, la società ingaggiata da Milone per acquisire informazioni anagrafiche «per esempio sulla famiglia Calcagno in relazione alla società Agricola San Giuseppe» e altre operazioni simili. «Ma anche per il lavoro di verifica e bonifica del nostro ufficio quando ci fu intrusione (senza scasso qualcuno aveva le chiavi) e introdussero uno spyware nei pc». Riferiscono i legali che Nencioli – interrogato dai pm vaticani – ha detto che il suo lavoro in realtà è stato anche quello, su mandato di Milone (che nega), di geolocalizzare tre personaggi del Vaticano: Gian Franco Mammì, direttore generale dello Ior dal 2015, l’ex direttore dell’Aif (2016-2021) Tommaso Di Ruzza e Danny Casey, segretario di George Pell. all’epoca Prefetto della segreteria per l’Economia.
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