Caos coalizioni: a destra si litiga per la leadership, a sinistra incertezza sulle alleanze

La prima domenica di campagna elettorale ha chiarito un po’ di cose. Ad esempio il “campo largo” del Pd è un cantiere di faticosa costruzione. Conte e Letta non hanno più nulla da dirsi e il divorzio è nei fatti e nelle accuse reciproche a cominciare dalla titolarità sul concetto e l’area riformista. Succede con chiarezza proprio nel giorno delle primarie di centrosinistra per la guida della Regione Sicilia e la candidata del Pd Chinnici vince per 3mila voti sulla candidata Floridia dei 5 Stelle. I 5 Stelle sono comunque destinati ad andare da soli e Conte dovrà presto fare i conti con un insider che insidia la sua leadership, Alessandro Di Battista. La prima domenica di campagna elettorale mette in evidenza che nel centrodestra, nonostante  i sondaggi vittoriosi, non si cancellano le tensioni. Anzi: più l’alleanza Salvini, Meloni, Berlusconi cresce nei sondaggi e più Lega e Forza Italia cercano di stoppare la corsa di Meloni. La leader di Fratelli d’Italia accusa Letta e il Pd di  “alzare il solito fango” quando si affronta l’ultimo miglio e cioè che lei è una “fascista” unfit di guidare palazzo Chigi. Meloni attacca Letta e fa la vittima perchè non vuole e non può parlare dei guai in casa sua.

Ecco qua, il menu della campagna elettorale è servito. Mentre gli italiani di buona volontà si stanno ancora chiedendo: “Perchè 5 Stelle e centrodestra hanno buttato via senza un vero motivo uno dei migliori italiani sulle piazze internazionali?”. Si chiama calcolo elettorale. Si legge “ricerca di consenso”.  Ma, si chiedono gli italiani, posto che nessuno ha la bacchetta magica, quali sono le ricette per rimettere in piedi il Paese?  

 

 

I simboli tra il 12 e il 14 agosto

Il tempo è poco. I simboli elettorali dovranno essere presentati tra il 12 e il 14 agosto. Le liste entro il 22 agosto. Un mese da oggi. Con quaranta gradi di media e il bisogno di un po’ di riposo nel mezzo. E’ la “fregatura” più forte per i partiti. Tutti, comprese le opposizioni a cominciare da  Fratelli d’Italia. L’ideale, per chi ha fatto cadere il governo – M5s Lega e Forza Italia – sarebbe stato un governo tecnico su cui scaricare le responsabilità di scelte difficili e dolorose che dovranno essere prese in autunno (al netto dell’avvio di un percorso di pace in Ucraina) in modo da avere quei 4-5 mesi a disposizione per organizzare alleanze, programmi e candidati.

Non è così. E adesso sono tutti alla ricerca di una soluzione. Quello messo meglio è il centrodestra che almeno ha un perimetro di azione più definito. Ma non è tutto oro quel che luccica. Decisamente più in alto mare il centrosinistra: anche senza i 5 Stelle  il “campo largo” del segretario Letta  è un puzzle difficile da comporre. Anche perchè il mitizzato “centro” o fronte repubblicano è sempre più affollato ma ancora informe  e indeciso su dà farsi. Al di là di una un po’ mitizzata “agenda Draghi” su cui molti cercano di mettere il cappello senza contare che evocarla senza il principale azionista sa un po’ di seduta spiritica.

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Le regole del gioco

La premessa con cui tutti devono fare i conti è il mix tra legge elettorale (il Rosatellum, maggioritario corretto) e taglio dei parlamentari che da 945 sono diventati 600. Con le regole del gioco fissate dal Rosatellum 322 seggi saranno attribuiti con il maggioritario e 366 con il proporzionale. Un altro testo con cui le segretarie dei partiti devono fare i conti è un recente “decreto elezioni” convertito un mese che, con un emendamento Ceccanti (Pd)-Magi (+Europa) ha consentito a quattro partiti la deroga per la raccolta delle firme alla elezioni politiche. I partiti sono  +Europa, Italia viva, il Centro democratico di Bruno Tabacci e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi: potranno correre da soli o in coalizione con il proprio simbolo alle politiche del 25 settembre. In questo sistema Azione di Carlo Calenda (assente alle elezioni del 2018) può presentarsi ma solo al traino di +Europa. Nicola Fratoianni e Sinistra Italiana hanno lo stesso  problema che è stato risolto con eleganza nell’ultima seduta prima dello scioglimento delle Camere: SI e Articolo 1 sono stati assorbiti nel gruppo camera di Leu. Articolo 1 non presenterà una propria lista ma avrà i propri candidati nella quota “sinistra” delle liste Pd. Nicola Fratoianni e la Sinistra italiana potranno essere in coalizione con un proprio simbolo e senza raccogliere le firme. Fin qui i tecnicismi di giornata. E’ possibile che ne vengano fuori altri nei prossimi giorni. Vedremo.

 

I perimetri delle coalizioni

I problemi più seri riguardano i perimetri delle coalizioni. Il

centrodestra, scampato il pericolo di una legge elettorale proporzionale, si ripropone nella modalità di sempre: formalmente unito, sostanzialmente separato. Sia Lega che Forza Italia soffrono i larghi consensi di Giorgia Meloni e la sua legittima ambizione a diventare la prima presidente del Consiglio donna. Vorrebbe dire affidare il paese al partito più di destra. Forza Italia ha seguito la Lega nello strappo al governo Draghi perchè Salvini deve fermare l’emorragia di consensi pagata, dicono i leghisti, stando al governo. Lo strappo sta costando caro al Cavaliere: due ministri hanno già lasciato (Brunetta e Gelmini) accusando le prime linee del partito di “aver consigliato male il Presidente”; il terzo ministro, Mara Carfagna, sta per lasciare o meglio, come dice lei, “è Forza Italia che ha lasciato me”. Non solo: l’Italia liberale, produttiva, che lavora è rimasta spiazzata dallo strappo e ne chiederà conto. “Hanno tradito Draghi” titola più o meno tutta la stampa straniera. Anche questa cosa del “partito di Putin” cioè Lega, M5s e Forza Italia che ha buttato giù il leader più filo ucraino comincia a scavare negli umori dell’elettorato moderato. Berlusconi, a cui sarebbe stata promessa la presidenza del Senato, cioè seconda carica dello Stato,   annusa aria di fregatura e si sta dando molto da fare con interviste, annunci elettorali (“mille euro di pensione minima”;   “mille alberi da piantare per proteggere l’ambiente”), “programmi politici avveniristici” e “una squadra di ministri all’altezza delle sfide”. Ieri Meloni è andata a Villa Grande, residenza romana di Berlusconi. Salvini ci ha vissuto nei giorni dello strappo. Tajani ieri ha avvisato gli alleati: “Approveremo tutti i decreti che il governo manderà in aula per non fermare i soldi del Pnrr”. L’incubo di perdere soldi e credibilità per colpa di una crisi assurda comincia a far tremare le coscienze. La coalizione del centrodestra può contare su sondaggi che danno una vittoria certa. Basterà come collante?

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Campo largo, tutto da fare. O rifare.

Nel cosiddetto centrosinistra le cose sono più confuse. Al Nazareno, sede del Pd, girano sondaggi che dicono che, se va bene, il centrosinistra (non è chiaro con quale formula) può cercare di vincere solo il 15% dei collegi uninominali (quelli con il maggioritario). Ieri Letta ha fatto una lunga intervista in cui ha sbattuto la porta in faccia a Conte e ai 5 Stelle, ha lanciato il fronte largo “Democratici e progressisti”,  cioè una lista “aperta ed espansiva” in cui il Pd parla con tutti, “da Toti a Fratoianni” passando per Renzi e Calenda. L’invito ad unirsi è stato esteso anche “a quei ministri di centro – Gelmini e Brunetta, Carfagna in forse – che hanno lasciato Forza Italia “.  La Direzione di domani è dedicata soprattutto a chi mettere in lista, a chi aprire.

Il problema sono le alleanze: il 22-24% di consensi che il Pd può ragionevolmente contare di avere non sarà sufficiente a vincere. Allearsi è necessario. E non solo a sinistra. Letta ha già il sottotitolo della campagna elettorale: avanti con l’agenda Draghi. Più che altro si dovrebbe dire con il “metodo” Draghi, senza compromessi. E già questo è meno verosimile.

 

L’ala sinistra c’è. Ma il centro?

Sul lato sinistra Letta si è già protetto: in lista ci sarà Roberto Speranza (“è una delle personalità che spero possano candidarsi nella lista nella lista aperta” ha precisato Letta) e qualche altro collega  che metterà fine alla scissione di Articolo 1. Il ritorno alla casa madre annunciato da qualche mese si è verificato. In coalizione potrà andare Sinistra Italiana e I verdi che faranno una loro lista.

Il problema per Letta è il lato che guarda al centro, verso i moderati. In quell’area si muovono Calenda, Renzi, + Europa, Di Maio, il sindaco Sala e gli altri sindaci. Nella stessa area, più sbilanciata verso destra, ci sono Toti, Bucci, Quagliariello. Piaccia o no, le elezioni si giocheranno qui.

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Al momento la situazione è la seguente. Letta vorrebbe inglobare Azione e +Europa. Calenda e Della Vedova però non hanno alcuna intenzione di allearsi con un partito che ha tanta sinistra al suo interno, che vuole tenere in piedi il reddito di cittadinanza così com’è e magari giustificare la Russia di Putin a discapito della Nato. Ci sarebbe molto da lavorare sui programmi, in questo caso. Calenda, inoltre, ha in testa che Azione e +Europa possono farcela da soli. “No alle ammucchiate in nome di un feticcio, cioè Mario Draghi, e di un unico obiettivo: andare contro qualcun altro” ripete. “E’ più pulita se andiamo soli visto che siamo diversi e distanti da quello che abbiano visto in questi anni”. Soli ma col simbolo di + Europa perchè quello di Azione non può più raccogliere le firme.

Renzi e Calenda, gemelli diversi

Il punto è che Calenda non vorrebbe fare patti neppure con Italia viva di Matteo Renzi che invece è l’unico che può vantare di aver fatto cadere il Conte 2 per fare spazio a Mario Draghi. Italia viva è certamente il luogo da dove costruire “il tetto e la casa all’area Draghi”. I renziani mettono al promo posto i temi, per una questione di chiarezza con gli elettori. Ad esempio: è possibile allearsi con quel Pd e quella sinistra che a Piombino ( a guida centrodestra, peraltro) non vuole la nave rigassificatore?  Letta, a sua volta, ha ancora problemi con Renzi. Che strana cosa: furono Speranza e Franceschini a dirgli nel febbraio 2014 che il tempo del governo Letta era scaduto.   Sarebbero già molto avanti i contatti con Di Maio (in corsa con il simbolo di Tabacci) e l’area di Sala. Al Nazareno gira l’idea di ospitarli direttamente nelle liste Pd.

Una variabile che può scombussolare le carte smosse del Centro è il punto di approdo di nomi di peso come Gelmini, Brunetta e Carfagna che Letta ha invitato dalla sua parte.

Siamo solo all’inizio. Ma sarà tutto molto veloce.

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