Chi può unire il ‘Grande Centro’? I quattro leader del ‘partito di Draghi’ (ma manca un federatore)

Chi può unire il ‘Grande Centro’? I quattro leader del ‘partito di Draghi’ (ma manca un federatore)

Qualcuno a mezza voce già lo chiama il «partito di Draghi». Perché anche se il premier dimissionario difficilmente sarà in campo nella prossima campagna elettorale, è a lui, e ai suoi 17 mesi a palazzo Chigi, che guardano i protagonisti del centro. Convinti che la ricetta migliore per l’Italia sia quella di proseguire nel segno dell’agenda dettata da SuperMario. Con quattro punti cardinali: riformismo, pragmatismo, fede euro-atlantica e nessun veto ideologico di stampo novecentesco tipo destra-sinistra. Sono gli aspiranti leader del terzo polo (o almeno, i più in vista di loro): Carlo Calenda, Luigi Di Maio, Matteo Renzi e Giovanni Toti. Alfieri di uno schieramento ancora tutto da costruire, alternativo ai «bipopulismi» di Giuseppe Conte e Matteo Salvini (il copyright è del leader di Azione) e decisi – almeno per ora – a tentare la fortuna da soli. Uniti, ma divisi. Perché se i temi su cui battono i quattro terzopolisti sono più o meno gli stessi, i nodi vengono al pettine quando si parla di trovare un «federatore», una figura in grado di tenere insieme tutte le possibili componenti del centro (da Italia Viva a Insieme per il Futuro, fino all’Italia al Centro). Un passaggio obbligato: perché se è vero che per i sondaggisti il terzo polo può puntare a scavallare il 15%, secondo un esperto della materia come Nicola Piepoli la conditio sine qua non per riuscirci è una «unione federativa». «Lo spazio c’è ed è notevole – sentenzia il sondaggista – ma solo se correranno tutti d’amore e d’accordo intorno a un unico leader». Ci riusciranno? 

Luigi Di Maio

La svolta del ministro: «Mai più coi populisti»

Gli avversari ancora gli rimproverano quell’incontro col leader dei “gilet gialli” francesi, nel febbraio del 2019. Ma tre anni in politica a volte equivalgono a un’era geologica. E nel caso del ministro degli Esteri sembra essere andata così. Perché Luigi Di Mai da tempo ormai ha poco a che spartire col “Vaffa” della prima era grillina. Non senza una certa dose di autocritica, il titolare della Farnesina si è avvicinato verso posizioni sempre più moderate. Fino alla scissione dai pentastellati di Insieme per il Futuro. Per ora gruppo parlamentare, in futuro (prossimo) anche partito. Con due stelle polari: fede atlantista e fedeltà all’agenda Draghi. «Riforme coraggiose, che non possono cadere nella polvere». Cardini che lo schierano di diritto nel campo centrista. Ieri è stato lo stesso ministro a tracciare i confini verso le urne: «Alleanze? Sicuramente non posso stare con quelli che hanno buttato giù Draghi», le parole di Di Maio. Dunque, niente patto coi pentastellati né col centrodestra, se mai fossero state due opzioni: «Sono quelli che hanno deciso di stare dalla parte degli estremismi e dei sovranismi». Chi rimane, allora? Il Pd e, appunto, i centristi. E non è un caso se negli ultimi mesi il ministro si è incontrato più volte col sindaco di Milano Beppe Sala, che molti vedrebbero bene come grande federatore del centro. 

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Carlo Calenda

Azione balla da sola: il terzo polo siamo noi

Combattere «i populismi di destra e di sinistra». È la missione che si è dato Carlo Calenda, che con i suoi candidati alle amministrative di giugno aveva raggiunto risultati oltre le aspettative. Ora il leader di Azione mira a bissare il successo alle politiche. Obiettivo? «Puntiamo al 10», aveva fissato l’asticella Calenda, prima che la maggioranza di unità nazionale si sgretolasse. Ma i piani dell’ex ministro dello Sviluppo non sono cambiati. «Si vota a settembre? Saremo pronti», è la linea. E anche se molti lo corteggiano, lui per ora insiste: «Andremo da soli. Il terzo polo – taglia corto Calenda – siamo noi». Nel Pd c’è chi si dice convinto che la posizione si ammorbidirà. E se in molti, anche tra i dem, ora guardano ad Azione come a un alleato naturale, lui tira dritto. Convinto che il Pd non sia ancora pronto a seppellire l’alleanza coi grillini: «In Sicilia faranno le primarie insieme», la critica che filtra. E gli altri centristi? Con Di Maio l’intesa sembra quasi impossibile, visto che anche ieri l’ex ministro è tornato a criticare il titolare della Farnesina. Con Renzi le cose non vanno molto meglio: «Sceglie le alleanze in base alle convenienze del momento», l’aveva rimbeccato Calenda dopo le comunali. Premesse che non lasciano ben sperare chi vedeva proprio nel leader di Azione il possibile tessitore del “grande centro”. ,37>

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Giovanni Toti

L’appello agli ex forzisti: «Brunetta, vieni con noi»

L’operazione di scouting, il governatore ligure, l’ha già cominciata. Rivolta innanzitutto ai “governisti” in uscita da Forza Italia, il partito da cui Giovanni Toti proviene. E chissà che nelle prossime ore non possa dare i suoi frutti. «Caro Renato – ha twittato ieri il leader dell’Italia al Centro, rivolto al ministro Brunetta – questa storia può andare avanti perché i valori liberali, riformisti e popolari non sono morti. E siamo in tanti a credere che si possano portare avanti con coraggio e serietà». Come a dire: le nostre porte sono aperte. Anche per Mariastella Gelmini, tra gli ospiti alla convention romana di Toti di qualche settimana fa pensata proprio per sondare le varie anime del terzo polo. Perché il presidente della Liguria ne è convinto: è dal centro che bisogna ripartire. E per farlo è pronto a confrontarsi con tutti. Da Renzi a Calenda, da Mara Carfagna a, perché no, Luigi Di Maio. La stella polare, anche in questo caso, è l’agenda che Draghi ha dettato in parlamento. «È su quella che si può costruire un programma», ragionano a Genova. «Con chiunque si riconosca nelle parole del premier siamo aperti al confronto». Mentre con chi punta a fare nuovi scostamenti di bilancio, a «far naufragare» il Pnrr, niente da fare. E il leader, potrebbe essere proprio Toti? «Prima il programma».

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Matteo Renzi

L’ex premier ci prova: uniti per l’agenda Draghi

Il leader di Italia Viva ne era convinto da tempo. E ieri ha avuto la conferma che la strada immaginata era giusta. Quella di un «grande rassemblement» centrista, che «in nome dei princìpi portati avanti in questi mesi di governo Draghi – spiega Matteo Renzi – dica sì all’Europa e no a i sovranisti». L’ex premier l’ha ribadito anche ai suoi, durante la riunione convocata coi gruppi parlamentari di Iv per delineare la strategia verso la campagna elettorale: «Alle urne serve un progetto più grande di Italia Viva». Già, ma con chi? Carlo Calenda, per i renziani, è un «interlocutore naturale». «Diciamo le stesse cose nello stesso modo, apparteniamo alla stessa famiglia politica», confida uno di loro. Il problema, semmai, è tenere insieme i due “caratterini” dei leader. Anche con Giovanni Toti, Renzi si confronta spesso. A Genova i due erano schierati sullo stesso fronte, per sostenere il sindaco Marco Bucci. E con Di Maio, riuscirebbe ad allearsi l’ex premier? Qui le cose si complicano. Perché il ministro degli Esteri è l’inventore del reddito di cittadinanza, che Italia Viva si propone di abolire tramite referendum. Ma «non ragioniamo per veti», aprono da Iv. Dove sono convinti che l’asse col Pd sia già precluso: «Alla fine andranno coi Cinquestelle». Almeno su questo, Renzi e Calenda non litigano. 

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