Conte, ventriloquo di Di Battista

La speranza degli attuali ortodossi grillini è facile da individuare. Essi puntano su settori dell’elettorato tutt’altro che secondari: nemici della politica, semplici impolitici, stanchi per molte decisioni uscite da un governo retto da una configgente maggioranza di salute pubblica, preoccupati per concreti problemi quotidiani personali e familiari.

L’interesse per milioni d’italiani non ha alcuna coincidenza con gli aiuti all’Ucraina, con l’avversione verso la Russia, con il debito pubblico irriducibile. Fondandosi in parte su ricerche di mercato, fra l’altro sovente da prendere con le molle a causa di troppe mancate risposte o rinvii o incertezze, sono rispuntati i pentastellati nostalgici delle origini. Non saranno tutti alla stregua di Alessandro Di Battista, ma è certo che Giuseppe Conte nella sua più recente fase è divenuto un intollerante, pronto a qualsiasi rischio pur di recare in primo piano un partito costituito ancora di troppi eletti.

Gli ultimi giorni sono stati sbrindellati, litigiosi, incerti, dominati da contrapposte esigenze, mentre nessuno è riuscito a comprendere con precisione quale sia il ruolo di Beppe Grillo (per fortuna dell’attuale responsabile pentastellato non agiscono più i Casaleggio). Non si riesce nemmeno a comprendere come d’improvviso siano tornati in voga motivi, strategie, “vaffa” rimossi a uno a uno nel corso di anni, mentre rimaneva in vita qualche pallido rimasuglio, come il divieto del terzo mandato.

Dopo aver tutto giustificato a causa delle stagioni governative in cui si sono inseriti da quattro anni, improvvisamente i grillini hanno ripreso antichi vezzi. Esemplare è l’atteggiamento della senatrice Paola Taverna, tornata ai poco apprezzati rigori.