Così l’Avvocato del popolo ha elevato le voci sulla sua inadeguatezza al rango di questione internazionale

Così l’Avvocato del popolo ha elevato le voci sulla sua inadeguatezza al rango di questione internazionale

Il rinvio a domani dell’incontro chiarificatore tra Mario Draghi e Giuseppe Conte che avrebbe dovuto tenersi ieri prolunga e rende ancora più surreale la bizzarra vertenza, cominciata una settimana fa con la rivelazione del sociologo Domenico De Masi a «Un giorno da pecora» secondo cui il presidente del Consiglio avrebbe chiesto a Beppe Grillo di rimuovere Conte dalla guida del Movimento 5 stelle perché «inadeguato».

Da anni, ogni volta che un politico si lascia scappare un commento sopra le righe circa l’intelligenza di qualcuno, ripenso a un vecchio episodio di West Wing in cui il presidente Bartlet, in un fuorionda, dava del cretino al suo avversario. Per buona parte della puntata lo staff si disperava pensando a come riparare allo sfortunato incidente, per poi capire che non era stato affatto un incidente, e tantomeno sfortunato: la «gaffe» presidenziale aveva fatto sì che per una settimana su tutti i giornali e le tv del paese si discutesse della scarsa intelligenza del suo rivale.

Qui però siamo di fronte a un caso leggermente diverso. Perché qui a far filtrare la notizia e poi a rilanciarla e a farne il tema politico centrale della settimana non sono stati gli avversari di Conte, ma i suoi più strenui sostenitori, e lui stesso. Un leader che non solo chiede un pubblico e solenne chiarimento sul tema della sua personale inadeguatezza, ma accusa il presidente del Consiglio di avere chiesto su questa base la sua testa a Grillo, cioè al fondatore del suo stesso partito, al quale però non si azzarda a dire mezza parola. E tuttavia le cose sono due: o Conte non crede alla (svogliata) smentita di Grillo, e allora è anzitutto con lui che dovrebbe chiarirsi, oppure ci crede, e allora non si capisce cosa voglia da Draghi.

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Dopo una settimana passata a far discutere giornali, radio e televisioni dell’inadeguatezza di Conte, lasciando intendere che il giudizio sarebbe condiviso dal presidente del Consiglio e dal fondatore del Movimento 5 stelle, all’ex punto di riferimento di tutti progressisti o ai suoi astuti spin doctor dev’essere venuto il sospetto che forse il messaggio andava aggiustato. E così è venuto fuori il «dossier» che Conte intenderebbe sottoporre a Draghi. Come spiegano i retroscena, riportando fedelmente il punto di vista contiano, non si tratterebbe certo di questioni personali (che avevate capito?), bensì di indifferibili problemi nazionali e internazionali. Tre, per la precisione: la pace in Ucraina, la conferma del reddito di cittadinanza e del Superbonus edilizio, il no all’inceneritore di Roma.

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Sull’Ucraina, a quanto pare, Draghi dovrebbe impegnarsi di più in un’iniziativa di pace, che forse è un modo per consentire al Movimento 5 stelle di continuare a votare l’invio di armi a Kyjiv, in cambio del solenne impegno del presidente del Consiglio a inviare via whatsapp qualche emoticon di rappacificazione a Vladimir Putin, ma è comunque un modo grottesco e irresponsabile di trattare la più sanguinosa e brutale guerra di aggressione avvenuta in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Ancora più incredibile è però vedere come migliaia di morti, deportazioni, torture e stupri di massa finiscano sullo stesso piano dell’inceneritore di Roma o del Superbonus edilizio (sul reddito di cittadinanza non sembra esserci alcuna intenzione ostile da parte del governo, e proprio per questo potrebbe essere una delle grandi vittorie esibite dal Movimento 5 stelle all’indomani del vertice, qualora la minaccia di uscire dalla maggioranza dovesse rientrare).

Se però l’idea di una crisi di governo sulla presunta inadeguatezza di Conte – promossa da Conte – era già piuttosto surreale, l’idea che l’Italia possa aprire una crepa nella Nato nel pieno della guerra in Ucraina per l’inceneritore di Roma o per il Superbonus edilizio è al di là di ogni possibile aggettivazione.

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L’unico commento possibile è un lungo, verecondo e mortificato silenzio, auspicabilmente interrotto solo da adeguate pernacchie nel giorno del voto, anticipato o meno che sia.

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