Crisi di governo: perché i 5 Stelle non votano la fiducia – Politica – quotidiano.net

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I 5Stelle, dunque, hanno deciso. Entro l’una di oggi, non voteranno il dl Aiuti sul quale, al Senato, il governo ha posto la questione di fiducia. Lo ha deciso ieri notte, dopo una riunione fiume del Consiglio nazionale del M5s, l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari, guidata dal presidente del M5s, Giuseppe Conte.

Giuseppe Conte (Ansa)
Giuseppe Conte (Ansa)

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I senatori pentastellati (62), dunque, intendono astenersi ‘dal’ voto e non ‘nel’ voto, come pure è possibile. Infatti, non è più vero, dalla riforma del Regolamento del Senato, effettuata nel 2018, che il voto di astensione equivalga a un voto contrario. L’astensione vale come astensione. Solo che, uscendo dall’Aula, si abbassa il quorum (necessario per la validità della votazione e per ottenere la maggioranza assoluta dell’Assemblea) mentre, restando in Aula, il quorum si abbassa. Ma questi sono tecnicismi.

Come pure il diverso comportamento tenuto dai pentastellati alla Camera dei Deputati, dove hanno votato sì alla fiducia (giovedì della scorsa settimana) e no al provvedimento in quanto tale (lunedì scorso). Al Senato, però, il voto è unico, quindi i 5Stelle hanno deciso di non partecipare al voto, per esprimere la loro contrarietà al provvedimento.

La possibile, ultima, mediazione del governo In realtà, è in corso l’ultima, disperata, mediazione. Un via libera definitivo al decreto Aiuti al Senato senza ricorrere al voto di fiducia. E’ il tentativo che alcuni esponenti di governo starebbero tentando per evitare lo show down. Questa mattina, riferiscono alcune fonti, il ministro per i rapporti con il Parlamento, il pentastellato Federico D’Incà (che nella assemblea dei parlamentari M5S di ieri sera ha si è detto contrario alla linea decisa dal Movimento di non partecipare alla fiducia a palazzo Madama) avrebbe avuto un confronto con i capigruppo di maggioranza al Senato, avanzando l’ipotesi di procedere con il voto finale sul dl Aiuti, nello stesso testo licenziato dalla Camera, ma senza ricorrere al voto di fiducia.

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Il nodo, tuttavia, sono gli emendamenti presentati al testo, che senza fiducia dovrebbero essere votati e tra le proposte di modifica ve ne sono alcune a firma M5S. Dunque, per procedere al voto senza fiducia, dovrebbe essere raggiunto un accordo ‘blindato’, che assicuri il via libera al decreto prima di dopodomani, pena la decadenza (il 16 luglio).

Perché i 5 Stelle non votano la fiducia

Ma perché il M5s dice non a un provvedimento che vale ben 23 miliardi, di cui almeno 14 sono contributi diretti a sostegno a famiglie e imprese? Per tre ordini di motivi. Il principale motivo del ‘no’ è che il dl Aiuti contiene una norma che, nell’attribuire poteri speciali al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri (Pd) in vista del Giubileo 2025, autorizza la costruzione, sul suolo della Capitale, di nuovi termovalorizzatori che i pentastellati definiscono, brutalmente, ‘inceneritori’ (in realtà, sono due cose diverse), strumento per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti cui sono contrari dai tempi in cui il sindaco era la loro Virginia Raggi. Il secondo motivo è che, sempre nel dl Aiuti, è stata inserita una norma – un emendamento presentato da FI, con parere favorevole di tutti gli altri gruppi parlamentari, tranne i 5Stelle, che ‘taglia le unghie’ al reddito di cittadinanza, misura-totem del Movimento: da ora in poi, non saranno più necessari tre ‘no’ di rifiuto di un’offerta di lavoro per perdere il diritto al RdC, ma ne basteranno due soli e richiesti non solo dai centri per impiego, ma pure dai datori di lavoro.

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La terza è che, sempre nel dl Aiuti, è prevista una ‘sforbiciata’ a un’altra misura cardine, per i 5S, il superbonus, che limita i crediti concessi alle banche come ristoro per chi accede alla misura. Il bivio che ha ora, davanti a sé, Mario Draghi Bastano, queste tre ragioni, per scatenare una crisi di governo? Secondo i 5Stelle bastano eccome, anche se il Movimento e lo stesso Conte assicura che non votare il dl Aiuti, e la relativa fiducia, ‘non’ vuol dire togliere l’appoggio al governo, che, anzi, se si ripresentasse davanti alle Camere, verrebbe ‘ri-fiduciato’ dallo stesso Movimento. Un comportamento contraddittorio e ambiguo che, però, il premier – il quale subito dopo il voto salirà al Colle per riferire della situazione politica – potrebbe non accettare. Come ha detto più volte “senza i 5Stelle non c’è più il mio governo e non c’è più il governo Draghi”. Si vedrà, però, solo dopo il colloquio tra Draghi e Mattarella, se le dimissioni, assai probabili, del premier, saranno ‘revocabili’, previo passaggio parlamentare e rinnovata fiducia, o ‘irrevocabili’, a ogni costo. E, da lì, si capiranno gli scenari che si aprono. Le forze politiche, intanto, si dividono tra chi chiede le “elezioni subito” (Lega e FdI), chi una “verifica di maggioranza” (Pd e FI) e chi di “andare avanti comunque” (Iv, Ipf e altri gruppi). Solo entro oggi si capirà davvero cosa succederà.

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