Da Lynch a Villeneuve, com’è cambiato Dune e come siamo cambiati noi

Dune a breve sbarcherà in sala, forte delle speranze di chi vede in questo primo capitolo, un puntello di prima importanza per il pericoloso stato di salute delle sale cinematografiche internazionali.

The Suicide Squad e Black Widow sono andati male, pare quasi che la pandemia abbia davvero intaccato per sempre il mondo del grande schermo, solo Dune può salvarci, solo Paul Atreides.

Certo, rimane un presagio sinistro, dovuto non solo alle recenti delusioni sulla risposta del pubblico, ma proprio sulla natura del progetto, che ha inghiottito le aspirazioni di un genio come Jodorowsky, e soprattutto, fatto conoscere l’amaro calice dell’insuccesso a lui, a David Lynch.

Nel 1984, il suo Dune fu un fiasco doloroso, generato sia dall’inesperienza di Lynch in rapporto a produzioni così faraoniche, sia dall’oggettiva difficoltà semiotica delle opere di Herbert, che dal punto di vista diegetico, erano connesse a dialoghi interiori complessi e molto sviluppati. E dire che lo stesso Herbert collaborò alla sceneggiatura, ma non poté evitare di dar vita ad un film spezzato, monco, troppo distante dai gusti di un pubblico che non voleva o forse poteva comprendere un’operazione così complessa.

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Universal

Oggi, di fronte a questo primo passo del nuovo Dune creato da Villeneuve, è ovvio che un confronto sia tanto naturale quanto interessante, in virtù della distanza temporale e soprattutto strutturale della settima arte, della sua fruizione, di ciò che è oggi la fantascienza.

Dal punto di vista visivo, scenografico e di costumi, la simbologia, i riferimenti, non sono certamente un elemento di eccessiva differenziazione tra le due pellicole, quanto la prova di una differenza creativa propria di due diverse interpretazioni.

La complessità leggendaria dell’iter creativo del Dune di Lynch, era esemplificata dal suo collegarsi all’arte, alla sua volontà di rendere la dimensione visiva, il pilastro su cui compensare la difficile struttura narrativa.

Gli Atreides portavano con sé eleganza e senso dell’onore, ma anche la sconfitta, il presagio della fine di un’era. E quale migliore punto di riferimento vi poteva essere se non l’arte e la cultura che accompagnarono la fine dell’era degli Imperi, in particolare di quelli Centrali, strangolati dalla tecnologia, dal XX secolo breve che sarebbe stato dominato dalle masse?
Ecco allora che Lynch ci propose un mix tra il Jugendstil e la Belle Époque, in un mix dove riecheggiava l’eleganza austrica e la marzialità prussiana, privata però di una cromaticità oscura, che andò completamente a definire gli Harkonnen.

Costoro, vennero concepiti come abitanti di un mondo che appariva connesso alle inquietudini di Lang, ad una sorta di incubo futurista, in cui la scienza era carnefice dell’uomo, la vita spezzata e resa giocattolo tra gas tossici e colori metallici. Il Dune di Lynch era in tutto e per tutto, per stile, epica e significati, l’anti-Star Wars, era dramme e tenebra, era horror e mistica, dove invece Lucas aveva portato leggerezza, avventura e recuperato tutto ciò che poteva da Flash Gordon, dal fantasy e Jules Verne.
Di base regnava un profondo pessimismo, una visione dell’universo come una giungla feroce ed infida, ostile e che non permetteva alcun tipo di pietà.

Villeneuve invece si è mosso verso una direzione parallela eppure separata, ha certamente mostrato un mondo più simile al nostro, articolato con minor pesantezza la realtà geopolitica di questo mondo che usa la scienza, rifiutandone però gli aspetti più radicali, credendo nella mistica, nel classismo più feroce.

Di base il suo è sicuramente un mondo più connesso visivamente all’Oriente, ai Giappone dei Daymo, ma soprattutto ai Metabaroni di quel Alejandro Jodorowsky, che non ebbe mai l’opportunità di mostrarci il suo Dune. Tuttavia permane il forte legame con il modernismo, il futurismo, ma più ancora con le opere che a suo tempo Giger e Moebius donarono al già citato Jodorowsky poi divenute fonte per tanti altri. Le nemesi sul Pianeta Giedi Primo, ancora una volta sono un mix di tecnologia e oscurità, si uniscono al nero del petrolio, dei rifiuti tossici, alla sensazione di avere di fronte una comunità afflitta da qualche strana malattia, e stupiscono per l’assonanza stilistica con i Cenobiti di Hellraiser.

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Warner Bros.

Se Lynch privilegiava l’oscurità, facendo di Dune una sorta di enorme racconto notturno, un pianeta alieno per la quasi assenza del sole, Villeneuve invece ci comunica in modo molto più netto la totale opposizione climatica e ambientale per i protagonisti.
Dal clima freddo, dalla natura acquatica e palustre, ecco che ci troviamo in un deserto, in una perenne siccità di cui però non ci arriva tanto il calore, quanto la dimensione di totale isolamento, anche nelle grandi scene di massa. Dune del 1984 era sicuramente più caldo, più horror nel suo racconto, cosa che Villeneuve non ha fatto. Ma entrambi in compenso ci mostrano la trascendenza, per quanto declinata in modo diverso. Più inerente la psichedelia, quasi connettendosi al New Age per Lynch, messianica e meno controllabile, più violenta e da antico testamento quella che Villeneuve mostra nel suo Paul Atreides.

Già, Paul Atreides. Kyle MacLachlan fu lanciato da questo film, il suo Paul era diverso da quello immaginato da Herbert, se non altro per la ben più notevole prestanza fisica, la virilità e lo charme ironico che invece non appartengono a Timothée Chalamet.

Il suo è un Paul tormentato, insicuro, ossessionato dal non capire cosa gli sta succedendo e chi è, ansioso di rifiutare l’onore della corona, non sempre a suo agio nella Corte in cui è cresciuto. Lynch invece pensò che fosse importante donarci un Principe che quasi pareva la declinazione realistica di quelli letterari o animati, un ragazzo coraggioso e che solo con il tempo abbracciava la sua natura atipica e anomala. Tale legame invece, Villeneuve lo rende fin da subito un elemento centrale per il suo Paul, così come struttura in modo diverso il rapporto con il padre e la madre. Il suo Duca Leto è più fragile di quello di Lynch, ma più perspicace nel comprendere la trappola mortale in cui si è infilato. Nel 1984 si provò a dare ad ogni personaggio il proprio spazio ma non vi si riuscì, cosa che invece Villeneuve si concede in virtù naturalmente di una possibilità maggiore offerta da più film.

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Warner Bros.

Ma andando nei significati, alle connessioni anche letterarie, il Dune del 1984 molto doveva chiaramente a Shakespeare, al mito greco basato su vendetta e giustizia, sul fato e il destino crudele.

Dall’opera di Villeneuve invece, emerge un maggior legame con ciò che Alejandro Jodorowsky aveva concepito a suo tempo, non fosse altro per la centralità data al tema della gioventù distante dal sentiero dei padri, per la rivoluzione che un domani cambierà per sempre l’universo conosciuto e le sue leggi.

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La religione ha fallito, è un inganno, il potere è una macchina crudele, rimane il misticismo, la spiritualità, la Spezia che ci apre altre vie e percorsi, ma non è detto che siano quelli che vogliamo. Rimane il fluire nella natura, l’abbracciare una filosofia di vita e percorso quasi zen. Villeneuve abbraccia il determinismo e il tema del libero arbitrio, dove Lynch invece si concentrava sul rapporto tra il singolo e la massa, sul mito e il monoteismo.

Qual è il migliore tra i due? Non è questo il luogo o il momento di dirlo, spetta ad ognuno di noi, ma di certo il fatto che da una fonte identica siano emerse sfumature così differenti, due modi così diversi di parlare dello stesso mondo, dello stesso universo, fa comprendere l’immensa complessità dell’opera di Herbert e perché sia così centrale ancora oggi.

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