Da Tokayev a Gref, l’inedito duo kazako che critica l’economia di Putin

Da Tokayev a Gref, l’inedito duo kazako che critica l’economia di Putin

di Marco Imarisio

Gli studi di Sberbank: il Pil russo giù del 7 per cento nel 2022 e del 10,3% nel 2023. Il leader kazako: non riconosceremo Donetsk e Lugansk. E Putin gli storpia il nome

Ogni tanto qualche granello di realtà entra nel motore della propaganda. Vladimir Putin ha storpiato il suo nome, pronunciandolo per tre volte in altrettanti modi diversi, quasi a ricordargli chi è il padrone. Margherita Simonyan, la moderatrice del dibattito tra i due capi di Stato, ha scosso più volte la testa per prendere le distanze. Con il capo del Cremlino che gli sedeva accanto, Qasim Tokaev, presidente del Kazakistan, ha tirato dritto, continuando a esprimere concetti ben poco allineati. A cominciare dall’economia. «La scelta di affidarsi solo alle proprie forze è assolutamente insostenibile, perché ormai è impossibile sostituire le importazioni». Fino ad arrivare al punto di definire «improduttive» le contro sanzioni imposte ai Paesi europei.

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La prima edizione autarchica del Forum di San Pietroburgo doveva essere ed è stata l’ennesima celebrazione della svolta antioccidentale. Ma ha anche fatto affiorare qualche elemento inatteso di autocoscienza. «Se non si fa nulla nella situazione attuale, il ritorno dell’economia russa al livello del 2021 potrebbe richiedere circa 10 anni». Herman Gref, presidente di Sberbank, il principale istituto di credito russo, appartiene al «partito del silenzio», i cui membri disapprovano l’Operazione militare speciale ma restano coperti e allineati, in attesa degli eventi.

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Proprio per via dell’abituale prudenza di un uomo soprannominato «la volpe», e comunque molto vicino a Putin, del quale è stato ministro dell’Economia e del Commercio dal 2000 al 2007, il suo intervento ha fatto sobbalzare sulle sedie i colleghi oligarchi. E non solo loro. Gref, per altro anche lui kazako, ha fatto parlare i numeri, con tanto di slide distribuite agli investitori. Secondo quello che lui stesso ha definito uno scenario di «inerzia», gli studi di Sberbank prevedono che il Pil russo scenderà del 7 per cento nel 2022 e del 10,3% nel 2023 rispetto al 2021, quando invece era in crescita del 4%. Un calo che «nella migliore delle ipotesi sarà colmato nel 2020, con il ritorno al -0,1%». Il giorno prima, Elvira Nabiulina, governatrice della Banca di Russia aveva detto le stesse cose, con toni ancora più pessimisti. «Le condizioni sono cambiate per molto tempo, se non per sempre. Ed è chiaro a tutti che non sarà più come prima».

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Ma Tokaev è andato ben oltre, raggiungendo l’eresia pura, con il riconoscimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina. «Il nostro Paese rispetta le leggi internazionali. Per questa ragione, noi non riconosciamo Taiwan, Kosovo, Ossezia del Sud e Abkhazia. E applicheremo lo stesso principio a “quasi stati” di nuova formazione come a nostro avviso vanno considerate le Repubbliche di Donetsk e Lugansk». A questo punto, la storpiatura del nome non bastava più. Fissando il suo collega, Putin ha affermato gelido che l’intera ex Urss è «Russia storica».

Tra il Kazakistan e la Russia non c’è amore. Appena lo scorso gennaio, l’esercito ha sventato un colpo di Stato ai danni di Tokaev, che dal marzo del 2019 governa il Paese dopo i quasi trent’anni al potere di Nur-Sultan Nazarbayev. I media di Astana non hanno avuto dubbi nell’indicare il Cremlino come mandante. Il sasso nello stagno lanciato dal presidente kazako ha prodotto subito i suoi effetti. «Tra Paesi amici non si sollevano questioni territoriali» ha detto ieri il deputato di Russia Unita Konstantin Zatulin. «Se tale principio viene a mancare, allora tutto è possibile. Mi sembra che il Kazakistan debba fare attenzione a questo aspetto».

Siamo alle minacce, neppure troppo velate. Poco importa che il solerte parlamentare sia stato ripreso dal segretario generale di RU Andrey Turchak: «Commenti provocatori e tendenziosi». Il disagio dei cosiddetti Stati satellite appare sempre più evidente. La Georgia è tutt’ora «sconvolta» dall’Operazione militare speciale. All’inizio di giugno il presidente dell’Azerbaigian Ilkham Aliev si è detto «fiero» di sostenere l’integrità territoriale di Kiev. L’Armenia insiste su una soluzione diplomatica del conflitto, per tacere della Moldavia. L’aria dell’Est è sempre meno serena, e sempre più instabile.

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18 giugno 2022 (modifica il 18 giugno 2022 | 22:54)

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