Diritti civili: la povertà, ultima frontiera della discriminazione, quella reale

Cos’è un diritto?

Un bisogno irrinunciabile, senza il quale non ci è consentito né vivere né realizzarci. Come affermava Bobbio, viviamo nell’era dei diritti, non più garantiti dallo Stato ma inerenti alla condizione umana. Se pensiamo alla società antiche basate sullo schiavitù o ai totalitarismi, o ci portiamo in altre culture, sotto altri governi, ci rendiamo conto che la pratica dei diritti è ancora un fatto locale, culturale, o, come mostra la crisi pandemica, contingente.

La sfera dei diritti, nel mondo occidentale, si è andata ampliando ed evolvendo col mutare delle società; a quelli di prima generazione, di matrice liberale, ossia di opinione, espressione, riunione, si sono affiancati, con il costituzionalismo prima, la vittoria delle democrazie poi, quelli politici; intanto si faceva strada la grande categoria dei diritti sociali, senza i quali i primi non potrebbero essere esercitati, ossia il lavoro, l’istruzione, l’assistenza sanitaria e la previdenza.

Questi ultimi sono stati per decenni il cavallo di battaglia delle sinistre che avevano fatto propria, di Marx, se non la soluzione politica, la visione antropologica; non esiste l’uomo come categoria universale, ma quell’uomo, calato in quella società, immerso in quei rapporti di produzione, alla guida o al servizio di determinate forze produttive.

Ma le sinistre, oggi più che mai, hanno abbandonato e tradito la battaglia per i diritti sociali, per abbracciare- lo dimostra il battage mediatico sul Ddl Zan- quella dei diritti civili, dimenticandone l’indissolubilità: bellissima una società che non discrimini o dileggi orientamenti sessuali, l’appartenenza etnica o di genere, perchè tutti abbiano le stesse opportunità. Ma se le opportunità, ossia il lavoro, l’istruzione, la sanità, la previdenza, sono sommersi dalla marea montante di un liberismo ipertecnologico che concentra la ricchezza e devasta il welfare, tutto questo rumore è davvero per nulla. Che questa inclusione non debba fermarsi a una decolonizzazione dell’immaginario, ma tradursi in una redistribuzione reale della ricchezza, in una supervisione politica delle dinamiche del mercato, in un controllo dei flussi finanziari, in una tassazione che non ricada solo sulle classi lavoratrici e sul borghese piccolo piccolo, non balugina nella mente dei nostri partiti progressisti.

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Pronti ad arroventare il dibattito pubblico sui diritti delle minoranze, a gridare al cielo lo sdegno per qualunque reato di opinione, in nome dell’inclusione, del conformismo cadaverico del politicamente corretto, i partiti progressisti bypassano la base di qualsiasi inclusione, di qualsiasi dignità: il lavoro, un minimo di giustizia sociale, un salario decoroso. Perchè eliminare le opinioni, uniformare ideologicamente i cittadini, non impedisce altri più radicali insulti, quelli del bisogno. E apre la strada a una società di più uguali, che non si scandalizzano del Cristo Lgbt, ma permettono che si instauri un darwinismo sociale senza alcun correttivo. L’uniformità è strumentale alla stabilità sociale in un mondo sempre più ingiusto e tecnocratico, dove si insegna la convivenza smantellando tutto ciò che serve alla sopravvivenza. L’ultima frontiera della discriminazione, la ricchezza, la concentrazione dei capitali al vertice, mai sarà sradicata.

La sinistra così si è privata dello zoccolo duro delle classi lavoratrici per abbracciare il credo globalista dell’individuo atomizzato, sradicato da vincoli identitari e comunitari, in nome di una uguaglianza astratta, perchè possano crescere, nella nebbia delle coscienze lobotomizzate, altre ben più devastanti differenze, quelle economiche. Tutti sullo stesso piano, tutti uguali, tutti più poveri, con lavori sempre più precari in nome della flessibilità, con la gig economy che prende piede, con il sistema scolastico che tracolla e cede di fronte a un cambiamento strutturale che ci vuole passivi spettatori e consumatori dai gusti livellati.

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La nuova sinistra radical è stata complice e a volte artefice dei tagli alla spesa per l’assistenza sanitaria, per la scuola, non ha condotto nessuna lotta per pensioni dignitose, per il salario minimo, ha accettato lo smantellamento dei diritti sindacali in nome del modello unico turboliberista, ha abilmente incoraggiato la guerra tra poveri, con politiche a difesa dei dannati di altre terre dimenticando i propri dannati, ha cancellato l’articolo 18, ha ingaggiato una vera e propria lotta contro le classi lavoratrici. In cambio si batte per le quote rosa- e quale donna può permettersi di intraprendere la carriera politica se deve arrancare per arrivare a fine mese?-si strappa i capelli per il riconoscimento delle coppie omosessuali-magari entrambi condannati a pedalare per Glovo, pizze a domicilio a 2 euro a consegna- si sgola per l’inclusione scolastica dei disabili, per abbandonarli alla disoccupazione, assicurando anzi terrorizzando con pensioni da 300 euro.

La nuova intellighenzia social fatta di influencer al servizio dei grandi marchi, di attorucoli in fama di eroi della delazione, di giornalisti prezzolati exempla di coraggio e informazione libera e trasparente, ha abbracciato queste cause, senza sdegnarsi per il milione di disoccupati in più, per la violazione dei diritti costituzionali resa lecita dalle politiche emergenziali, per le file di nuovi poveri davanti alle mense della Caritas; raccoglie fondi per la ragazza omosessuale cacciata di casa e se ne frega di quelli chiusi agli arresti domiciliari nelle comunità, dei giovani laureati privi di entrature sociali, costretti a una nuova forma di emigrazione, dei care giver disperati per una legge, la Dopo di noi, ferma al palo. Ma non può ingannare i più avvertiti, quelli che individuano, sotto la difesa dei vari pride, la totale noncuranza nei confronti di altri basilari bisogni. Perchè, cosa vuoi che interessi, a questa sinistra capitalista e politicamente corretta, che due gay possano o meno adottare un bambino? Ben poco.

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Fumo negli occhi. Nient’altro.

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