
Fra gli aspetti più singolari della vita pubblica nazionale, meritano di essere citati i casi di Gian Carlo Blangiardo e di Pasquale Tridico. Entrambi nominati dal governo Conte 1, interpretano il loro ruolo istituzionale («gran commis» con espliciti obblighi di terzietà e, per specifiche questioni, di garanzia) con notevole creatività ponendo questioni delicate al governo del Paese.
Blangiardo non si limita a esporre i dati che l’Istituto da lui presieduto elabora con indiscussa capacità tecnico-scientifica ma si inoltra nelle sabbie mobili delle politiche economiche e sociali, sorvolando sui discutibili criteri di valutazione delle povertà relative e assolute definite dalle norme che prevedono erogazioni di soccorso pubblico assistenziale. In tanti dubitano dell’attendibilità di una cifra di povertà che riguarderebbe quasi il 20% degli italiani e sulla mancata riduzione a razionalità del fenomeno della disoccupazione che si accompagna alla impossibilità delle imprese di trovare forza lavoro disponibile all’assunzione. E tanti dubitano sull’entità del numero dei poveri vista la situazione dei consumi, dei quali spicca ancora oggi, la anelastacità, per esempio, nel settore del trasporto automobilistico privato. Segno questo di non sofferenza della cittadinanza. Per ora.
Il secondo, Pasquale Tridico, che sembra più legato al Movimento 5Stelle, non manca di comportarsi come un agit-prop della propaganda grillina nelle delicatissime (per il bilancio nazionale) questioni del reddito minimo e del reddito di cittadinanza. Temi politici controversi, sui quali il presidente dell’Inps, nella qualità di presidente dell’Inps, dovrebbe avere la sensibilità istituzionale di non pronunciarsi né di spendersi.
Manifestazioni, queste, del degrado della vita pubblica nazionale, nella quale alcune funzioni comporterebbero una interpretazione cauta e riservata, capace di suscitare apprezzamento generale, piuttosto che una persistente, forse sguaiata, insistenza su temi più partitici che istituzionali.
Non si tratta di fatti minimi, ma di esplicite manifestazioni dislocate di un costume pubblico il cui interprete più esposto è l’avvocato Giuseppe Conte, capo pro-tempore del Movimento 5Stelle con difficoltà di distinzione tra insostenibili posizioni (antiscientifiche, prive di basi tecniche) come quelle relative ai temi ecologici a partire dai termovalorizzatori e i temi cruciali per il futuro del Paese. Con difficoltà di comprensione di quanto sia erroneo e criminale gettare soldi nelle fornaci del trasporto fuori regioni e fuori nazione dei rifiuti di città come Roma, Napoli, Palermo, e di quali effetti devastanti abbiano avuto due provvedimenti riferibili al suo partito e a lui medesimo come il 110% e il reddito di cittadinanza.
Ma ora, l’ultima mossa (in senso tecnico-giuridico un atto meramente emulativo) di uscire dall’aula della Camera dei deputati in occasione del voto sul decreto «Aiuti» è la sublimazione della sostanziale sudditanza alle esigenze politiche putiniane rispetto all’Europa comunitaria. Se, dopo quello del Regno Unito, entrasse in crisi formale (quella sostanziale s’è già aperta) anche quello italiano, l’obiettivo russo di aprirsi un varco nell’Unione europea sarebbe raggiunto. Il che dimostra quanto le opacità romanesche puntino sul collasso del sistema e siano subordinate a Mosca e al suo rappresentante a Roma, ambasciatore Sergey Razov.
La palla, da qualunque parte si osservi la situazione, è però nelle mani di Draghi, ancora più che di Mattarella. Un uomo di stato sa utilizzare le crisi per rafforzare la propria linea politica e il proprio potere. È il potere (che «logora chi non ce l’ha» Giulio Andreotti dixit) che costituisce la sostanza del governo di una nazione ed è il potere, usato consapevolmente, che può determinare il consenso o il dissenso.
Insomma, la prova cui è sottoposto oggi Draghi gli impone un’alternativa: cedere e disertare o battersi e vincere la prova, assicurando alla Nazione la continuità politica e di governo.
Siamo convinti che Draghi sceglierà l’alternativa patriottica, quella che potrà valorizzare il ruolo dell’Italia nello schieramento occidentale.
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