Draghi, i partiti e la tagliola dei calcoli elettorali

Draghi, i partiti e la tagliola dei calcoli elettorali

Per noi cittadini, i dati che contano sono quelli dei prezzi che rincarano, dell’inflazione che taglia la crescita, dei contagi che tornano a impennarsi. Ma per i nostri politici gli unici numeri che li orienteranno sono i sondaggi sulla loro sorte elettorale. E quelli pubblicati sabato da Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera indicano una traiettoria ben precisa. Scandita da due macigni: metà degli elettori che oggi gonfiano le vele virtuali di Meloni erano per la Lega alle europee, un quarto di chi votò M5S ora si astiene. La traduzione nelle strategie di alleanze e nei rapporti tra maggioranza e opposizione è perentoria: burrasca per Mario Draghi.

Le raffiche di vento più impetuose vengono dal cosiddetto campo largo del centrosinistra che, a dispetto delle parole dei leader, si è già disintegrato. Mettiamo da parte la coerenza, che Conte ha sempre rivendicato malgrado le sue continue piroette. Ma fino a quando rimarrà in sella come leader – più o meno dimezzato – dei grillini non ha alternative che cercare di riprendersi un po’ dei voti di protesta finiti oggi nell’astensione. Lo spingono in questa direzione i dati dei flussi di opinione e la sua base in rivolta, che spera che una brusca virata verso le origini dure e pure possa ridare un po’ di slancio, e una manciata di seggi. Cercherà, fino all’addio formale, di spremere dall’esecutivo un po’ di risorse che soddisfino la propria constituency, reddito di cittadinanza e blocco edilizio. E dovrà decidere che fare con l’ala storica dei leader ribelli – Raggi e Di Battista – pronti a disarcionarlo nel momento in cui passasse all’opposizione. Ad aizzare le folle, loro sono certamente più bravi. Ma si tratta della gestione tattica di una strada ormai segnata. Cui manca però un ultimo tassello: una nuova legge elettorale. 

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Franceschini – che di queste cose se ne intende – ha messo subito in chiaro che Conte, se stacca la spina a Draghi, si può dimenticare di allearsi nelle urne coi democratici. E, nei collegi maggioritari attuali, correndo da soli i Cinquestelle beccherebbero un sonoro cappotto. Se invece si rispolverasse un sistema proporzionale integrale, ci sarebbe tutta un’altra storia. Una storia che converrebbe anche al Pd, che potrebbe facilmente smarcarsi dallo scomodo ex-alleato. Chi invece ha tutti gli interessi a mettersi di traverso alla riforma è il leader della Lega. Come spiega ieri Roberto Gressi sul Corriere, Salvini ha un solo modo per evitare che l’emorragia di consensi a favore di Meloni diventi, per il suo partito, una voragine di seggi in parlamento: tenersi ben stretta la tagliola dell’alleanza maggioritaria. Dove i calcoli della spartizione si fanno con la media ponderata delle politiche, delle europee e dei sondaggi. Per la medesima – e opposta – ragione, alla leader di Fratelli d’Italia converrebbe, invece, correre da sola e libera di esercitare il proprio indiscutibile appeal mediatico. A ricompattare l’alleanza ci penserebbe, da posizioni di forza, una volta che avesse in mano le chiavi di Palazzo Chigi.

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Ci aspetta, dunque, un autunno rovente. Con l’assalto alla diligenza del bilancio su cui convergeranno – pur se con diversi obiettivi – Lega e Cinquestelle. Anche approfittando del fatto che il governo fa sempre più fatica a tenere dritta e ben visibile la bussola della ripresa economica. Il Pnrr – ammesso che ci riuscirà – ancora non fa vedere i suoi frutti, e all’orizzonte internazionale si fa sempre più minaccioso il rischio di una recessione. Senza contare che sembra ormai esaurita la spinta e il collante ideologico fornito dalla guerra in Ucraina. Scomparsa dalle prime pagine dei principali quotidiani italiani, ma destinata a protrarsi a lungo, lontana dagli schermi ma vicina al deficit dei conti pubblici. 

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Nei prossimi mesi, di benzina – a buon mercato – per infiammare la scena politica ne avremo, purtroppo, in abbondanza. Draghi, forse, riuscirà a restare a galla, per un mix di confusione e di inerzia. O forse prevarrà la tentazione di sparigliare e far saltare il banco su cui i partiti vogliono crocifiggerlo. Dopo tutto, il boccino della crisi resta ancora nelle sue mani.

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