“Draghi non ascolti le paturnie dei partiti. Faccia Draghi e l’Italia va”

“Draghi non ascolti le paturnie dei partiti. Faccia Draghi e l’Italia va”

Matteo Renzi, domani è il giorno della verità sui destini della legislatura, e non solo. Nel Palazzo si sta alimentando l’ipotesi che, di fronte alla eroica svolta governista del signor Crippa e altri Cinque Stelle pronti mollare l’Avvocato del popolo, Mario Draghi ora debba archiviare i suoi fondati dubbi e farsi confermare la fiducia. È cosi?

«Sinceramente non credo sia questo il punto. Per me la partita è più semplice e al contempo più impegnativo: o Draghi si convince che bisogna andare avanti nell’interesse del Paese o, Crippa o non Crippa, si va alle elezioni a inizio ottobre. Non ci sono altri scenari, per me. Draghi deve preparare una lista di cose da fare senza ascoltare le paturnie dei partiti e dei partitini: vada, scelga, governi. Draghi faccia Draghi e l’Italia va. Se invece vuole fermarsi, i grillini possono anche fare tre scissioni al giorno, ma non cambia nulla. Tocca al premier decidere, nessun altro può farlo al posto suo».

Lei aveva previsto che Conte e i suoi 5 Stelle non sarebbero arrivati alle prossime elezioni. Non le pare di aver peccato di ottimismo?

«Sono scomparsi prima. Col nuovo telescopio della Nasa si vede la nascita delle stelle e delle galassie, con le telecamere su Montecitorio invece si vede la fine dei 5 stelle. Lo avevo previsto, sì, ma è comunque uno spasso vedere come si contorcono per nascondere dietro battaglie ideali la loro voglia di mantenersi mezza poltrona».

Ammesso che Draghi ritiri le dimissioni, quanto può andare avanti, e per far cosa, un governo con Crippa, Salvini che chiede scostamenti di bilancio e tutti in pensione subito, la Meloni che da fuori urla «avete rubato le elezioni», Landini che organizza i gilet gialli per l’autunno etc etc?

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«È il motivo per cui dico a Draghi: non trattare come ai tempi del pentapartito. Fai un elenco delle cose che servono all’Italia. Vieni in Parlamento. E vediamo chi si tira indietro. Le elezioni si terranno alla scadenza naturale, ora pensiamo ai temi veri: inflazione, guerra, gas, carestia, migrazione. Draghi è il principale asset del Paese, chi non lo capisce voti Conte o Dibba. Tra l’altro Di Battista risulta essere in Siberia in questo momento, nel suo habitat naturale. L’unico Dibba romano ormai è Dybala».

Lei dice: Draghi bis con un programma «prendere o lasciare». In piena campagna elettorale le pare credibile? E lei sarebbe disposto a «lasciare» la polemica contro il Reddito di cittadinanza?

«Mi pare non solo credibile ma anche doveroso. E del resto sulle cose su cui Draghi ha messo la fiducia abbiamo sempre votato a favore, anche se non sempre condividevamo. Certo: ci siano astenuti sulla non riforma della giustizia. Ma lo abbiamo fatto perché Draghi non ha messo la fiducia. Dove c’è la fiducia, li ci sono i nostri voti. Sul reddito, uno dei più grandi disastri 5S, faremo la nostra battaglia nei banchetti e al referendum».

E secondo lei il centrodestra si renderà disponibile a far andare avanti Draghi o punterà al voto?

«Vogliono andare votare, soprattutto la Meloni. Ma credo che se Draghi fa Draghi, Forza Italia e la Lega non riescono a dire di no. La paura di andare a votare la avvertono anche i parlamentari della destra».

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Col senno di poi, non le pare sia stato assai miope non eleggere una risorsa unica come Draghi al Quirinale, blindandolo per sette anni, anziché lasciarlo in balia del cannibalismo politico?

«Al Quirinale c’è una persona seria e credibile come Mattarella e va bene così. Quanto a Draghi: ho scritto nel mio libro Il Mostro la cronistoria di quei giorni convulsi. Draghi sarebbe stato un ottimo presidente: non lo hanno voluto la destra e i grillini. Ma non lo hanno aiutato – come spiego con dovizia di particolari nel libro – neanche i suoi collaboratori».

Quale misterioso meccanismo psicologico ha ammanettato per anni il Pd ai 5S e a Conte, su cui ancora oggi non riescono a esprimere un giudizio definitivo?

«Il Pd soffre della sindrome di Stoccolma. Ha eletto un avvocaticchio populista a forte punto di riferimento progressista solo perché impressionato da tre sondaggi. Spero che questa vicenda apra gli occhi al Pd: M5s è stata una delle più grandi allucinazioni collettive di questo paese. Una sciagura che sarebbe comica, se non avesse fatto danni gravissimi all’Italia. Spero che chi insultava Italia Viva per aver cacciato Conte e favorito l’arrivo di Draghi si renda conto di ciò che abbiamo fatto: non che mi dicano scusa, ma almeno mi dicessero grazie».

Non è pentito di aver avallato la riconferma di Conte a premier, dopo il Papeete?

«No. Non era il mio primo nome, come sa chi fu protagonista di quella vicenda (io sponsorizzavo l’allora presidente di Anac Cantone) ma prima di lasciare il Paese in mano al Salvini del mojito e del Papeete mi son fatto andare bene anche lui. E appena ho potuto l’ho mandato a casa, e sono fiero di averlo fatto anche se ho pagato un prezzo personale altissimo. Ma lo rifarei. Draghi è uno statista, Conte uno stagista».

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In vista delle elezioni lei lavorerà a una formazione di centro riformista, o si accorderà col Pd?

«Noi siamo il centro riformista e liberale. Spero voglia esserlo anche il Pd. Al momento vedo troppi nostalgici di Conte. Vedremo nei prossimi mesi: a mio parere è molto più probabile una corsa riformista, al centro».

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