e alla Camera si rivede il Trota- Corriere.it

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E la Meloni?
E Lollobrigida?
E Tajani che nella penombra del Transatlantico parla a sguardo basso con la Fascina (quasi moglie del Cavaliere, ancora furibondo), i capelli biondo platino stretti in uno chignon tipo Eva Kant?
Dopo.
Gli ultimi appunti sono i più succulenti. Il racconto, stavolta, comincia dalle scene finali.
Emiciclo di Montecitorio: velluti rossi e scranni in noce, i lampadari sempre accesi grandi come a Versailles e il nuovo presidente leghista della Camera, Lorenzo Fontana, che — dopo aver citato Papa Francesco e ringraziato Umberto Bossi — conclude il suo discorso di insediamento tra l’ovazione, le grida di evviva dei deputati del centrodestra scattati in piedi e l’indifferenza di quelli del centrosinistra, usciti già a decine, gli altri rimasti che osservano a braccia conserte, l’aria tra efferato disgusto e profonda amarezza (mai, a memoria dei cronisti più anziani, le opposizioni avevano negato un applauso alla terza carica dello Stato appena eletta).

Adesso, sentite: all’applauso si vorrebbe unire anche Matteo Salvini che, essendo senatore, è venuto a sedersi quassù, nella tribuna degli ospiti (di fianco a quella riservata alla stampa). E in effetti il Capitano balza proteso in avanti, è quasi commosso (con Fontana sono amici fraterni, ai tempi di Bruxelles condivisero persino lo stesso appartamento), s’è pure messo tutto in ghingheri: ma un commesso — severissimo — lo ferma.
«Senatore, deve restare seduto: e non può applaudire».
Salvini (quando fa lo sguardo da buono/ingenuo): «Ma io veramente…».
«Le regole, qui, sono uguali per tutti».
«Bah! Quindi…».
«Seduto. E senza applaudire».

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Le agenzie, intanto, dopo aver battuto la notizia della proclamazione, fanno viaggiare in rete ilcorposo curriculum di Fontana (in sintesi: 42 anni, tre lauree, europarlamentare, due volte ministro, da sette anni vice-segretario della Lega, cattolico integralista, anti-abortista, una moglie, una figlia, amante della famiglia tradizionale «anche perché quella Arcobaleno non esiste», un solido passato da putiniano convinto, da euroscettico, in gioventù tra gli ultrà di estrema destra del Verona). La battuta del giorno, che fa subito il giro del web, arriva da un cronista che preferisce rimanere anonimo: «Fontana? Meno male che al Senato c’è il moderato La Russa».
Fontana scende dalla sua postazione, esce dall’aula e attraversa il Transatlantico tra due ali di commessi schierati come picchetto d’onore. Di solito, a questo punto, la piccola folla che assiste alla cerimonia (per la maggior parte giornalisti, ma pure portavoce, portaborse e lacchè),fa partire un applauso per il nuovo presidente, che è il presidente di tutti.
Fontana sfila dentro un gelido silenzio.

Sulla Moleskine, questo è l’ultimo appunto di una giornata invece non dico allegra, ma piena di un situazionismo curioso, piacevole. Per dire: laggiù, nel cortiletto, ad un certo punto compare l’Umbertone, sedia a rotelle e sigaro e cravatta verde. È di umore eccellente. Con lui c’è il figlio Renzo: il leggendario «Trota» (fu il padre a definirlo così, quando — nel 2008 — gli chiesero se fosse il suo «delfino» politico). Vengono a rendergli omaggio — in un’atmosfera da Carroccio in festa — Fontana e Salvini, Borghi (che gongola attaccato alla giacca del capo) e Calderoli. Giorgetti è l’unico a sedersi accanto al Senatur. A proposito: l’incastro dei ministri sembra delinearsi. Quasi certi: Giorgetti al Mef, Tajani alla Farnesina, Urso alla Difesa, Nordio alla Giustizia. Provano a chiedere conferma alla futura premier che — sorprendentemente su tacchi a spillo genere Santanché — la butta nel frivolo: «Il mio parrucchiere m’ha detto che almeno una quarantina di donne gli hanno chiesto il mio taglio. Non è pazzesco?». Passa il senatore Giovanbattista Fazzolari, il suo uomo dei dossier riservati, l’uomo incaricato di gestire il potere che verrà, e subito si ritrova un codazzo di adulatori con la lingua a frullino. «Fazzo, amico mio, vecchia canaglia!». C’è quest’atmosfera sbarazzina, con dentro molte facce nuove (quelle dei grillini — rispetto al passato — fanno ben sperare), ma poi dall’edizione on-line del Foglio rimbalza una chicca sulfurea: qui, dentro i corridoi di Montecitorio, si aggira Claudio D’Amico, braccio destro di Gianluca Savoini, accompagnatore di Salvini nei suoi viaggi in Russia. Filippo Ceccarelli, fuoriclasse dei cronisti, opportunamente osserva: «Temo che, in questi minuti, all’ambasciata americana stiano studiando attentamente l’identikit politico di Fontana».

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Meglio sentire Francesco Lollobrigida, potente cognato della Meloni, capogruppo uscente di FdI, probabile futuro ministro. «Sono abbastanza sicuro che Fontana non avrà sbandate». Abbastanza? «Tolga abbastanza: sono certo. Abbiamo messo paletti precisi, nella coalizione: sulla vicenda Ucraina non ammettiamo posizioni alternative a quelle di Giorgia, già note». L’avete detto a Fontana? «Non è necessario. Sa tutto».
Da dietro una colonna sbuca Alessandro Zan del Pd, «padre» del ddl contro l’omofobia, che va ad appendere in aula lo striscione: «No a un presidente omofobo pro Putin». I dem starebbero pensando a Zan come possibile vice-presidente della Camera. Ma il guaio grosso è sostituire la capogruppo uscente, Debora Serracchiani. Che, con tanti big (diciamo così), da Fassino a Provenzano, è ritenuta politicamente debole.
Dettagli.
Miserie.
Dell’opposizione (presunta), parleremo un’altra volta.

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