Ci siamo: le elezioni invocate da alcuni, in particolare da Matteo Salvini, e temute da altri, in particolare dai 5Stelle, sono state indette per il 25-26 settembre 2022. Per la prima volta nella storia repubblicana si voterà in autunno, in un autunno appena sbocciato che saprà ancora molto di estate. Un’altra volta, in Italia, ancora Regno non ancora Repubblica, le elezioni vennero celebrate in autunno, precisamente il 16 novembre 1919, le prime svoltesi con il sistema proporzionale. Esse segnarono il crollo dell’egemonia liberale e il successo delle liste socialiste e popolari (insieme il 52,85%) e l’avvio di una legislatura nella quale si succedettero tre deboli governi (2 Nitti e il Giolitti V). La Camera venne presto sciolta e il 21 maggio 1921, 1 anno e mezzo dopo, entrò per la prima volta in Parlamento il partito fascista, seppure mascherato in «Blocchi nazionali».
Oggi i presagi sono preoccupanti non tanto per l’ipotizzato successo di FdI, la cui leader Giorgia Meloni – di certo non sprovveduta, anche se (fu, ma non è?) vicina a coloro che organizzarono e realizzarono l’assalto alla Cgil di Roma – ha assunto l’habitus della moderazione e, soprattutto, ha compreso l’importanza della posizione internazionale dichiarandosi per l’Alleanza atlantica e per la storica collocazione italiana. Peraltro elemento non risolutivo.
Le prime battute della campagna elettorale inducono, infatti, al pessimismo. Dal «body shaming» (Treccani: deridere qualcuno per il suo aspetto fisico) diretto nei confronti di Renato Brunetta (un disgustoso abuso, avviato dal noto Maurizio Crozza) e di Giovanni Toti, rispettabilissimo presidente di Regione Liguria, accusato di obesità (Churchill?), alla discesa nelle più insulse banalità come il fatto che Enrico Letta «non suda» evocata dal noto Salvini, a riprova di una sorta di elitismo del segretario del Pd.
Tutte operazioni di distrazione di massa dai problemi reali che affliggono l’amata Patria, di cui sembra che nessuno voglia occuparsi. Lo stesso Letta è tutto puntato sulla costruzione di un’alleanza, ora che il “campo largo” è miseramente fallito per il demenziale suicidio di uno dei due protagonisti, i 5Stelle.
Ora – e parliamo della sinistra – i temi che saltuariamente emergono sono tutti rivolti all’utilizzazione assistenziale dello Stato, nel senso che si promettono ampliamenti e intensificazione dei soccorsi sociali. Un’operazione che crea dipendenza nei ceti beneficiari, dissuasi dall’impegnarsi nella ricerca di un lavoro e nel lavoro medesimo, essendo quest’aspetto quello ritenuto risolutivo dei problemi delle classi indigenti.
L’insistere sul tema da parte dei grillini non sorprende: si tratta della manifestazione di un approccio distruttivo (la decrescita felice) che ha già dato un colpo quasi mortale al bilancio dello Stato. Ma il Pd, perdio! Il partito dei lavoratori muta pelle e rincorre i principi della fannullanza 5Stelle.
Qui sostengo – e spero che un’autorità governativa indipendente si occupi del tema e prenda posizione – che i dati sulla povertà italiana siano viziati dall’utilizzazione di criteri che ignorano il tenore di vita e i mille segnali di disponibilità economiche ufficiali e non ufficiali, cioè nere, di tante persone. Accanto a questo mood si colloca l’altra demenziale posizione esistente a sinistra di cui è deplorevole espressione il ministro del lavoro Andrea Orlando. Non c’è una reale, concreta iniziativa per favorire e, soprattutto, realizzare l’incontro tra la domanda di lavoratori e i cittadini che intendono lavorare e che perciò superano i disincentivi pubblici nei confronti del lavoro.Il vizio fondamentale è l’abissale ignoranza della situazione nel mondo, l’evoluzione e i traguardi raggiunti nei paesi a bassa disoccupazione, primo fra tutti gli Usa. Nessuno vuol verificare e superare la validità di alcuni dogmi vecchi e ormai inutilizzabili: il primo è la demonizzazione del lavoro a tempo determinato. Si informino lor signori della Cgil, della ruota di scorta ex-sindacato riformista dei cittadini, l’Uil, e anche quelli della Cisl: chi lavora e sa lavorare non ha problemi riguardo alla precarietà. Nell’azienda è prezioso e non c’è imprenditore al mondo che voglia privarsene. Sono questi lavoratori che non vogliono legare il proprio destino a una specifica azienda e intendono migliorare la propria posizione organica e stipendiale mediante la scelta delle opportunità che si presentano. Gli altri, quelli non votati al lavoro, debbono essere sospinti sulla via dell’autonomia economica mediante, appunto, l’accettazione di un lavoro.Scriverei tanto altro. Ma ritengo di fermarmi e di appuntare l’attenzione su un’altra questione.
Oggi non si tratta di destra e di sinistra, anche perché la medesima destra adotta proposizioni di sinistra e poi, rinunciando alla sua storia migliore, prende le parti di posizioni parassitarie di sfruttamento di posizioni di privilegio (vedi balneari e tassisti). Il problema è la realizzazione di quel complesso di riforme aventi lo scopo di mettere in sicurezza il bilancio dello Stato, di proseguire sulla strada dell’accordo stipulato con l’Ue, su un piatto i tanti (mai visti tanti) quattrini del Pnrr sull’altro le riforme di aggiornamento e funzionalizzazione del sistema. E, con esso, la gestione della crisi da materie prime, dell’inflazione, dell’aggressione russa all’Ucraina.
Occorre capire bene chi può assicurare nel concreto una politica che mantenga la Nazione nel ristretto gruppo di testa dell’Ue, che assicuri i risparmiatori italiani e stranieri sulla solvibilità dello Stato e su misure che non aggravino la situazione di bilancio e la possibilità di credito internazionale. E che confermino il ruolo italiano nello schieramento occidentale.
Credo che questa sia la bussola. E credo anche che, oggi come oggi, non è emerso chi abbia abbracciato queste esigenze , quelle stesse cui stava dando risposte Mario Draghi. Draghi rimane in piedi come un raro esempio di disinteresse personale e di efficace, intelligente e generoso servizio della Patria.
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