Giorgia Meloni, appuntamento con la storia

Giorgia Meloni, appuntamento con la storia

in foto un manifesto di Giorgia Meloni (Imagoeconomica)

Un interessante articolo di Giovanni Orsina sulla Stampa di qualche giorno fa mette in guardia contro il rischio di usare l’arma dell’antifascismo nel tentativo di frenare la corsa di Giorgia Meloni a fare di Fratelli d’Italia il primo partito in termini di voti e di se stessa la prima presidente del Consiglio donna. (Come, tra l’altro, ipotizza l’ultimo numero della rivista americana The Spectator che alla possibile novità dedica la copertina).
L’invito a non usare la logora accusa contro l’avanzata elettorale della destra poggia su due argomenti principali. Il primo è che l’arma è spuntata, non ha funzionato in passato e non si vede perché debba funzionare adesso. Il secondo è che a furia di gridare al lupo al lupo (senza che il lupo di materializzi mai), il giorno in cui dovessimo trovarci davvero in pericolo non sapremmo prestare orecchio all’allarme proprio come nella favola di Esopo.
Sgombrata, dunque, dal campo l’opzione ideologica – con tutto il rispetto di coloro che le restano tuttavia affezionati – sarà utile entrare nel merito delle scelte annunciate per capire in quale direzione viaggia la probabile vincitrice della competizione in atto. E a questo proposito appare del tutto fuorviante la suggestione, proposta dal Manifesto, di una riedizione delle politiche ultraliberiste di Reagan e Thatcher sia pure rivisitate in salsa italiana.
Non sembra proprio infatti – dalla tradizione culturale del partito, dal chiaro riferimento al Sociale del Movimento che fu, dalle parole della stessa aspirante premier – che il programma di FdI voglia premiare l’affermazione di un mercato privo di regole e tutto affidato all’iniziativa privata dove la finanza, in particolare, la faccia da padrona. Tutt’altro. Se c’è un segno particolare da riconoscere è proprio nella volontà di restituire spazio allo Stato.
Dunque, nessuna avventura liberista nel futuro di Giorgia Meloni. Al contrario, la previsione di una maggiore presa del governo almeno sui dossier ritenuti strategici per il Paese (in questo caso, occorre precisare, in piena continuità con l’esperienza di Mario Draghi). L’attenzione al sociale, poi, si svincola dalle formule assistenziali del reddito di cittadinanza per puntare a restituire al lavoro la dignità che sta progressivamente perdendo.
Se è vero, come ormai appare evidente e condiviso, che il successo di una nazione non si misura più solo con la forza del Pil ma anche e forse soprattutto con la capacità di consentire a tutti i cittadini di accedere a un’esistenza dignitosa, sarà sul recupero del disagio che si misurerà l’azione dell’esecutivo. Una comunità più equilibrata, con meno disuguaglianze al suo interno, promette di crescere più e meglio di quelle con pochi ultraricchi e molti poveri.
Non si tratta di usare la livella né tantomeno di penalizzare i ricchi perché stiano più vicini ai poveri. L’obiettivo è sollevare tutti, e specialmente chi sta in basso, verso condizioni migliori di vita. Oggi ci sarebbero anche i soldi e gli strumenti per riuscirci se non si vuole sprecare l’occasione storica fornita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). E non sembra che la leader di Fratelli d’Italia voglia sconfessare il lavoro fatto fin qui.
Gli annunci di qualche aggiustamento dovuto al mutare di alcune condizioni di base – la guerra in Ucraina sta avendo un notevole impatto sui costi e sull’approvvigionamento di materie prime – non mutano il quadro d’insieme che deve necessariamente stare nella cornice fissata per garantire continuità a quanto svolto finora perché gli impegni con i partner europei che si sono indebitati anche per noi vanno rispettati senza se e senza ma.
La collocazione atlantica non è messa in discussione e, anzi, ne esce rafforzata. Dunque, la principale obiezione che si possa avanzare di fronte al montare delle aspettative di vittoria è che non bisogna confondere la capacità di prendere voti con quella di saper guidare il Paese. Per quest’ultima occorrono schiere di uomini (e naturalmente di donne) di prima qualità, affidabili e che abbiano una certa confidenza con il potere.
Da questo punto di vista, affermano i critici, il fronte è sguarnito e le buone intenzioni s’infrangono. In quali mani finirà il nostro destino? La domanda è legittima. Ma è lecito immaginare che Giorgia Meloni se la sia posta prima degli altri e con maggiore urgenza. L’occasione è unica. Forse irripetibile. Ammesso che riesca nella conquista del Palazzo sarebbe imperdonabile che si facesse trovare impreparata e sbagliasse nella scelta delle persone.

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