Grazie alle ricerche contro il Covid, è cominciata la sperimentazione di un nuovo vaccino per l’HIV

Il 5 giugno del 1981 i centri per le malattie infettive di Atlanta registrarono cinque casi di uomini affetti da una polmonite sospetta. I cinque pazienti erano tutti gay e la stampa ribattezzò subito la malattia misteriosa “Gay-related immune deficiency” (immunodeficienza correlata all’omosessualità). Poi si scoprì che non erano solo i gay a contrarre questa malattia, ma che era presente anche nella comunità degli haitiani, fra gli emofiliaci e fra gli eroinomani e per questo diventò la “malattia delle 4H” – Haitians, Homosexuals, Hemophiliacs ed Heroin users. Un anno dopo, la patologia cambiò nuovamente nome e assunse quello con cui ancora oggi tutti la conosciamo: “Aids”, sindrome da immunodeficienza acquisita. Dopo quarant’anni esatti da quei primi casi ad Atlanta, Moderna ha annunciato l’avvio della sperimentazione del primo vaccino a mRNA contro l’HIV, il virus responsabile dello sviluppo dell’Aids, un passo avanti incoraggiante, ma non il primo.

Dal 1984, anno in cui l’HIV è stato identificato come il virus responsabile dell’Aids, sono stati fatti diversi tentativi per produrre un vaccino in grado di prevenire il contagio. L’allora ministra della Salute statunitense Margaret Heckler promise addirittura che il vaccino sarebbe arrivato in un paio di anni. La prima sperimentazione prese avvio nel 1987 grazie alla casa farmaceutica VaxGen, ma più di dieci anni dopo nel 2003 si concluse in un nulla di fatto. In quegli anni, anche a causa della grande diffusione ed eco mediatica che aveva la malattia, le istituzioni erano fiduciose sulla possibilità di sviluppare in breve tempo il vaccino: nel giro di tre anni vennero fondate la AIDS Vaccine Advocacy Coalition (1995) e la International AIDS Vaccine Initiative (1996), e nel 1997 il presidente Clinton si assunse l’impegno di ottenere un vaccino in un massimo di dieci anni. A seguito del fallimento di VaxGen e grazie al contributo della Bill & Melinda Gates Foundation, cominciò la sperimentazione di un nuovo vaccino che bloccava la replicazione del virus nei soggetti infetti, ma anche in questo caso i risultati non furono quelli sperati. 

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Come ha spiegato il patologo Ronald C. Desrosiers in un articolo per The Conversation, l’HIV è un virus ostico, capace di replicarsi molto più velocemente di altri. Nel corso di più di quarant’anni dalla sua prima comparsa ha avuto il tempo di sviluppare molte varianti che rendono più complesso garantire la copertura con un singolo vaccino. La sua struttura, inoltre, lo rende resistente e difficile da riconoscere per i nostri anticorpi. Vanno poi considerate le difficoltà nel reperire un campione per la sperimentazione: se per il coronavirus non è stato difficile trovare abbastanza persone infette, per l’HIV le cose si complicano, dato che molto meno diffuso nella popolazione. Nonostante le difficoltà e una storia non molto incoraggiante dal punto di vista dei risultati, negli ultimi dieci anni gli scienziati hanno comunque condotto un totale di cinque studi arrivati alla fase 3 per sconfiggere preventivamente l’Aids. A febbraio dello scorso anno, però, si è conclusa negativamente la sperimentazione del vaccino HVTN 702, un risultato che la direttrice delle ricerche Glenda Gray ha definito “devastante”.

Con l’annuncio di Moderna, sembra però aprirsi una nuova era per la ricerca sui vaccini anti-HIV. Il nuovo vaccino a Rna messaggero funzionerà infatti con la stessa tecnologia del vaccino anti-Covid, tentando una strada che non era mai stata intrapresa fino ad ora. A settembre comincerà la fase 1, a cui parteciperanno 56 volontari sieronegativi tra i 18 e i 50 anni. Durante la prima fase della sperimentazione clinica si valuta la sicurezza e la tollerabilità del medicinale, ma non la sua efficacia, che si comincia a osservare dalla fase successiva. È ancora troppo presto quindi per sapere se questo vaccino funzionerà – dal momento che l’HIV e il coronavirus sono molto diversi – ma gli scienziati sono fiduciosi che anche la ricerca contro l’HIV possa beneficiare indirettamente dell’onda lunga di quelle sui vaccini condotte per la pandemia da Covid-19, anche se il vaccino a Rna messaggero non dovesse essere la strada giusta. 

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Un’altra possibile soluzione che la comunità scientifica sta indagando è quella del vaccino HVTN 706/HPX3002, soprannominato “Mosaico” e arrivato alla fase 3 di sperimentazione, in cui sono coinvolti anche alcuni ospedali italiani. “Far parte del trial Mosaico significa mettermi a disposizione per qualcosa di più grande di me”, racconta a The Vision l’attivista per i diritti sessuali Bastian Balthasar Bux, che sta partecipando alla sperimentazione – di cui è venuto a conoscenza grazie all’associazione di prevenzione sulle Ist Milano Checkpoint – e che sta raccontando sui social la sua esperienza. “Farne parte significa anche fidarsi della scienza”.

Accanto al vaccino esistono molti modi per prevenire l’infezione da HIV, a partire dall’utilizzo del preservativo. Ma oltre ad avere rapporti protetti è importante sottoporsi periodicamente ai test, che si possono fare gratuitamente e anonimamente in molte città. Negli ultimi anni, poi, si sta diffondendo anche in Italia la PrEP, acronimo di profilassi pre-esposizione. Si tratta di un protocollo medico di prevenzione, che viene prescritto da un infettivologo alle persone sieronegative, che si segue prima dei rapporti sessuali a rischio o con persone sieropositive e che riduce la probabilità di contrarre l’infezione. Anche sul fronte della cura sono stati fatti grandi passi avanti: oggi una persona sieropositiva che segue regolarmente la terapia può condurre una vita normale e soprattutto non trasmettere il virus agli altri. Inoltre, lo scorso anno è guarita una seconda persona dall’HIV in seguito a un trapianto di cellule staminali, dopo la guarigione di Timothy Ray Brown, un paziente sieropositivo che nel 2007 si sottopose al trapianto per curare una forma di leucemia e risultò guarito anche dall’infezione. 

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Il fatto che oggi esistano molti metodi per prevenire l’HIV non significa che un vaccino sia inutile. Anche se le nuove infezioni sono diminuite del 30% rispetto a dieci anni fa, la demografia dei contagiati dimostra quanto ancora pesino le condizioni sociali. Negli Stati Uniti, ad esempio, le minoranze etniche continuano a essere le più sovrarappresentate nei nuovi contagi proprio perché sono meno raggiunte dalle strategie di prevenzione. Lo stesso discorso vale anche per l’Africa, dove ogni giorno si registra la maggior parte delle nuove infezioni globali, che colpiscono con sempre maggior frequenza adolescenti e in particolare giovani donne. Anche se la PrEP sta dando buoni risultati in alcune sperimentazioni in Kenya e in Uganda, si tratta comunque di una terapia che richiede una continuità che nelle zone più remote è difficile da mantenere. Un vaccino, al contrario, potrebbe coprire in brevissimo tempo ampie fette di popolazione.

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