Green pass col trucco, la malattia è finta: a processo un medico e una paziente

Green pass col trucco, la malattia è finta: a processo un medico e una paziente

PERUGIA – Green pass col trucchetto, inizia a Perugia uno dei primi processi ai medici che hanno trovato il modo di far ottenere la certificazione ai pazienti senza averne diritto. Ieri infatti il giudice per l’udienza preliminare ha rinviato a giudizio il medico e la paziente che insieme hanno pensato a come bypassare la legge che fino a qualche mese fa imponeva il green pass.

Come richiesto direttamente dal procuratore capo Raffaele Cantone, che aveva lasciato intendere una linea molto dura sulla questione, il gup infatti ha aperto le porta del processo per un medico sessantenne di Perugia e una paziente di origini trentine. In base al capo di imputazione, «su istigazione o comunque su richiesta della (paziente), (il sanitario), in qualità di medico convenzionato con la Usl Umbria 1 di Perugia, redigeva il “certificato di guarigione dal Covid 19”, attestando falsamente la guarigione dalla malattia, nonostante la predetta non l’avesse mai contratta». E non solo. Secondo le accuse, il trucco consisteva nell’inserire «la certificazione medesima nel Sts (Sistema Tessera Sanitaria) del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in tal modo consentendo, attraverso l’utilizzo dei dati da parte della piattaforma nazionale Dgc, che si generasse automaticamente a favore della (paziente) una non veritiera “Certificazione verde Covid 19” (cosiddetto green pass)». I fatti sono relativi al gennaio 2022 e dopo le indagini svolte dai militari del Comando dei carabinieri per la tutela della salute – Nas di Perugia e l’interrogatorio dello stesso medico, la giustizia è stata celere – anche vista la questione molto sentita soprattutto nei mesi passati – e i due sono stati rinviati a giudizio per il concorso in falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Il medico e la paziente, difesi dagli avvocati Ubaldo Minelli, Vittorio Lombardo e Rita Urbani, rischiano ora una pena che va dai tre mesi ai due anni. Sarà il tribunale, in uno dei primi processi del genere in Italia, a decidere l’eventuale condanna per aver – se le accuse fossero confermate – aggirato la legge invece di ottenere la certificazione come previsto.

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In Umbria, oltre a questo caso, c’era stata molta attenzione anche a Foligno, con la procura di Spoleto diretta da Alessandro Cannevale che lo scorso aprile aveva addirittura richiesto e ottenuto gli arresti domiciliari per il collaboratore di una farmacia che, sempre in base alle accuse, si faceva pagare tra i 70 e i 100 euro falsi accertamenti di positività al Covid, finendo indagato per corruzione e falsità in documenti informatici pubblici. Anche lì, come spiegato dal procuratore Cannevale, veniva inviato all’autorità sanitaria regionale «una falsa documentazione attestante l’esito positivo del test antigenico. Nessuna delle persone sottoposte al finto test era vaccinata contro il Covid-19. Scopo del falso referto di positività era quindi quello di ottenere indebitamente una falsa certificazione verde della durata di 9 mesi, al termine del periodo minimo di isolamento». Sotto indagine finirono altre nove persone, considerati corruttori e concorrenti nelle singole falsità.

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