Il castello di carte di Letta e il problema nella grande alleanza antimeloniana

Il castello di carte di Letta e il problema nella grande alleanza antimeloniana

Da Nicola Fratoianni a Maria Stella Gelmini (che approda ad Azione), andata e ritorno: il castello di carte che Enrico Letta sta tentando di mettere su è esposto a ogni alito di vento, così che è bastata una frase improvvida del sindaco dem di Pesaro, Matteo Ricci, che ha voluto ricordare a tutti che «secondo lo statuto del Partito democratico il candidato presidente del Consiglio è il segretario del partito» per innescare una tempesta in un bicchier d’acqua con Carlo Calenda, il quale ha respinto questa impostazione ricordando che lui e Emma Bonino sono per Mario Draghi di nuovo a palazzo Chigi, mentre Matteo Renzi sul Corriere della Sera aveva sponsorizzato Stefano Bonaccini, il gran vincitore (senza Movimento 5 stelle) in Emilia-Romagna. 

Il Nazareno ha quindi smentito Ricci («La questione non si pone ora») mentre Marco Taradash si affida alla logica: «Se nascerà il Patto elettorale fra il centro liberaldemocratico +Europa/Azione e Pd, per il quale stiamo lavorando, gli elettori sapranno che se votano nella parte proporzionale Pd avranno Letta candidato presidente del Consiglio, se votano Bonino-Calenda avranno Draghi. Grazie Ricci». Ė un lodo di buon senso, ma andrà davvero così?

Tutto è in movimento. Gli amici-nemici Renzi e Calenda si sono visti: ottimo clima ma forse parlare di accordo è prematuro. Insieme, da soli? O insieme col Pd. L’unica cosa chiara è che al Nazareno Renzi proprio non va giù.

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Si tratta di una querelle che denota il nervosismo che c’è nella futuribile Grande alleanza antimeloniana proprio sulla stessa questione che sta dilaniando in modo ancor più grave il centrodestra dove Giorgia Meloni è già esasperata per la messa in discussione della sua premiership. Per dire come tutto sia in alto mare, ovunque. 

Se la Meloni già traballa, Letta-Sisifo è alla vigilia di incontri importanti, nei prossimi tre-quattro giorni, con i vari leader per capire se la coalizione unitaria si può fare. Ma se con Calenda, malgrado sua notoria vis personale, il rapporto non sembra impossibile («Non ci sono tensioni, zero», ci ha detto ieri), il problema adesso si chiama Matteo Renzi, molto tentato dall’avventura in solitaria: e anche se molti leggono nell’aggressività del capo di Italia viva un modo per alzare il prezzo sui posti garantiti dalla coalizione, è difficile per Letta alzare un veto contro l’ex segretario del Pd: «Sarebbe astio», ha tagliato corto Renzi. 

Diciamo la verità: escludere Italia viva e contemporaneamente tenere dentro i cocomeri Fratoianni&Bonelli, fervidi antidraghiani, sarebbe una scelta contraddittoria e nemmeno pagante. E tuttavia il rischio o la possibilità di andare con una coalizione di sinistra imperniata sul Pd e un’altra più riformista (Italia viva e forse Calenda) esiste: stanno tutti facendo i calcoli se conviene. 

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A proposito di Calenda c’è da segnalare che la sua proposta di ieri – il Patto repubblicano – è una novità perché almeno sposta la questione sui contenuti che – ha detto – «non sono generici. Si tratta di rigassificatori, termovalorizzatori, se necessario militarizzando le aree in cui devono esserci. Vuol dire revisione del reddito di cittadinanza, anche salario minimo. Facciamo un Patto repubblicano aperto ai cittadini e alle personalità politiche, chi ci vuole stare ci sta e siamo molto contenti».

Ed Emma Bonino ha precisato che «è un Patto repubblicano, io non amo la parola fronte perché ricorda tempi non gloriosi, non si tratta delle tavole della legge e neanche del nostro programma elettorale. È la segnalazione di alcuni punti importanti per il Paese su cui vale la pena unirsi e riflettere», ed è in questo quadro programmatci che le porte vengono sbarrate a Fratoianni e anche a Luigi Di Maio (Calenda: «Chi è?»).

Attenzione poi alle beghe in casa Pd: oggi la mega-direzione dem allargata ai gruppi parlamentari deve decidere anche cose di non poco conto tipo le candidature di sindaci (che per legge devono dimettersi una settimana dopo la pubblicazione della caduta del governo, ovvero 28 luglio), consiglieri regionali (che per statuto non potrebbero candidarsi) deroghe ai parlamentari con più di 15 anni di mandato, e lì calerà la mannaia su molti big. 

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È venuta davvero l’ora del rinnovamento generazionale, anche se questo farà morti e feriti illustri. Mentre Nicola Zingaretti, incurante della rottura epocale tra Pd e Conte-il-killer di Draghi, auspica di nuovo un’intesa con i grillini nel Lazio, che evidentemente ritiene essere una repubblica autonoma e di sua proprietà.

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