Il cuneo fiscale va tagliato

Il cuneo fiscale va tagliato

Giorgio Benvenuto
Giorgio Benvenuto

Non è più tempo di interventi spot, di bonus e di altre toppe. Serve una grande riforma a vantaggio dei lavoratori che incida sul cuneo fiscale, allenti il peso degli oneri previdenziali e rafforzi il potere della contrattazione per tutelare i salari.I lavoratori italiani sono quelli che costano di più al datore di lavoro rispetto ai colleghi europei e però guadagnano meno.

È questo paradosso che va superato», dice Giorgio Benvenuto, già storico segretario della Uil, segretario generale del ministero delle Finanze e presidente della Fondazione Bruno Buozzi. Il vertice tra il premier e Cgil, Cisl, Uil, dice Benvenuto, «è un primo passo importante sull’emergenza salari. Draghi sia più deciso, ascolti di più e prima il Paese, le imprese, le organizzazioni dei lavoratori. Avrà modo di avere il polso della situazione e sarà più forte anche rispetto ai partiti nel fare le riforme che servono».

Il sindacato ha un sufficiente tasso di riformismo? «Il sindacato deve essere responsabile, dimostrare di saper coniugare i diritti dei lavoratori, sanando il dissidio di interessi tra giovani e vecchi, con la competitività del sistema. Dalla crisi si esce solo tutti assieme».

Domanda. Il governo nel vertice con i sindacati ha annunciato un decreto aiuti entro fine luglio contro il caro vita. Ci saranno nuovi incontri su cuneo fiscale, salario minimo, rinnovo contratti.

Risposta. È un primo passo importante per fronteggiare l’emergenza salari e pensioni. Ma mi pare che il modo in cui la maggioranza e il governo affrontano i problemi sia riduttivo, poco deciso.

D. In che senso?

R. L’Italia dopo lo tsunami della pandemia era tra i paesi che aveva fatto segnalare la migliore ripresa. Ora la guerra Russia-Ucraina ha aperto la voragine dell’emergenza energetica. Ma l’export italiano ha continuato ad andare bene, meglio di altri paesi. Ci sono eccellenze, competitività, c’è un sistema che va sostenuto, che ha reagito. Non per essere necessariamente ottimista, ma questo governo gode di una situazione di grande vantaggio seppure nel bel mezzo di una crisi dagli esiti ancora non prevedibili: non deve far risparmi ma spendere i miliardi del Pnrr. Lavori alle riforme, rinviare a dopo le elezioni quello che serve sarebbe un errore fatale.

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D. Nuovi incontri con i sindacati sono già in calendario. Siamo alla vigilia di un nuovo Patto sociale?

R. Se posso dare un consiglio, Draghi utilizzi il dialogo con il mondo delle imprese e delle organizzazioni sindacale in modo più costante e preventivo rispetto alle decisioni da assumere. Avrà il polso della situazione e sarà più forte anche rispetto ai partiti. In una situazione di continua fibrillazione politica, di perenne campagna elettorale, i partiti sono presi dal fissare le loro banderuole, che cambiano a seconda del vento dei sondaggi. È con il mondo reale che bisogna confrontarsi.

D. Nel mondo reale, dice l’Inps, il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro al mese. Il reddito di cittadinanza è più conveniente.

R. I lavoratori italiani sono quelli che costano di più al datore di lavoro rispetto ai colleghi europei e però guadagnano meno. È questo paradosso che va superato. Non è più tempo di interventi spot, di bonus e di altre toppe. Serve una grande riforma a vantaggio dei lavoratori che incida sul cuneo fiscale, allenti il peso degli oneri previdenziali, scindendoli da quelli assistenziali che devono essere a carico della collettività, e rafforzi il potere della contrattazione per tutelare i salari.

D. La riduzione del cuneo è certamente la riforma più impegnativa dal punto di vista finanziario.

R. A mio avviso è stato un errore accorpare i ministeri dell’Economia e delle Finanze.

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D. In che senso?

R. Perché inevitabilmente manca una visione strategica del dossier fiscale e un’autonomia ministeriale sul tema. E questo non aiuta. Faccio un esempio: la Corte dei conti ci dice che ci sono 950 miliardi di tasse non riscosse, ma nel contempo ci sono cittadini vessati, procedimenti con il Fisco che non si riescono a chiudere, un cambio continuo di regole, scadenze, aliquote, rottamazioni di cartelle. Un sistema fiscale così fatto per chi paga è un inferno, per gli evasori un paradiso. Va ripristinato un rapporto corretto tra cittadini e amministrazione finanziaria, lo Statuto del contribuirete è stato buttato alle ortiche. Nell’ambito di un rapporto più serio tra cittadino e fisco, ci sono spazi per recuperare maggiori entrate.

D. Il ministro del lavoro Orlando ha proposto di lavorare al salario minimo.

R. Era il 1959 quando si decide di dare valore erga omnes ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative. Si rafforzi il potere della contrattazione, mentre lo Stato lavori a ridurre il cuneo. Da lì arrivano i maggiori aumenti per far salire le buste paga.

D. Tra le crisi dei 5stelle e gli ultimatum della Lega, il governo è a un passo dalla crisi. Ci possiamo permettere elezioni anticipate?

R. Sarebbe incomprensibile. Una crisi di governo ma per fare cosa? La maggioranza di questa stagione è necessitata e contrassegnata dal nomadismo parlamentare, e siamo d’accordo. Ma le riforme che vanno fatte per ridare competitività e coesione al sistema sono chiare.

D. Il sindacato ha un sufficiente tasso di riformismo?

R. Il sindacato deve essere responsabile, non arroccarsi al suo interno, dimostrare di saper coniugare i diritti dei lavoratori, sanando il dissidio di interessi tra giovani e vecchi, con la competitività del sistema. Dalla crisi si esce solo tutti assieme.

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D. Oggi fare sindacato è più facile o difficile rispetto alla stagione che lei ha vissuto?

R. Molto più difficile. Il contesto è assai complicato, la globalizzazione ha stravolto i connotati della società e dei sistemi produttivi e il conto è salato. E poi il sindacato che io ho vissuto aveva un dialogo con i partiti, che avevano capacità di interlocuzione. Ora i partiti non ci sono.

D. Che pensa quando legge che gli operai preferiscono votare la Lega e non i partiti di sinistra?

R. Che la sinistra si è riempita la bocca di troppe belle parole, salario minimo, reddito di cittadinanza. Si è offerto il meno peggio, in alcuni casi anche utile, doveroso, per carità…ma non è quello che serve ai giovani per crescere, alla società per migliorare. Serve investire sulla formazione, su un sistema che sia capace di correre, di essere competitivo. Pagando di più per la qualità e non puntando al minimo per sopravvivere.

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