Il Pnrr al Sud è una scatola vuota: zero cantieri aperti

Il Pnrr al Sud è una scatola vuota: zero cantieri aperti

Il governo è morto e neanche il Pnrr si sente tanto bene. Certo, sulla carta tutto procede come da programma quinquennale. Dopo i 25 miliardi già arrivati, se ne aspettano altri 21 miliardi a dicembre (10 a fondo perduto e 11 di prestiti) e poi ogni sei mesi fino a giugno 2026. Per l’attuazione nel secondo semestre 2022 il programma è già definito, e prevede il raggiungimento di 55 scadenze per incassare la terza rata da 19 miliardi. Ma sulla carta, appunto. A oggi non c’è uno straccio di cantiere aperto o quasi, con la variabile impazzita delle grandi opere ferroviarie. La colpa è anche della governance sul Pnrr, polverizzata tra governo, Regioni ed enti locali contro il parere dell’Europa, per non scontentare i potentati locali che controllano pacchetti sterminati di voti.

Nel Mezzogiorno, dove si concentra il 40% degli interventi dei 212 miliardi in ballo, gli schieramenti (dal Pd al centrodestra, passando per i Cinque stelle) si giocheranno la partita delle Politiche rivendicando i propri meriti nella definizione di questa sorta di Piano Marshall bis. Al Sud sono destinati anche 54 miliardi dai Fondi strutturali 2021-2027, 9,4 miliardi da React-Eu, 58 miliardi dal Fondo Sviluppo e Coesione e 1,2 miliardi dal Just Transition Fund. Risorse che senza una pianificazione delle Regioni rischiamo di perdere. Per esempio, la Napoli-Bari (già finanziata per intero) aspetta «solo» le procedure agevolative. L’Alta velocità sulla Salerno-Reggio Calabria, che vale 9,4 miliardi, ha lotti non ancora appaltati perché l’iter è appena partito, e di recente il governatore calabrese Roberto Occhiuto si è fatto sentire con Palazzo Chigi. Per non parlare della fattibilità del Ponte sullo Stretto, fermo in Parlamento.

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Anche l’edilizia al Sud, ripartita grazie alla generosità della legge sul Superbonus 110% che tante storture ha partorito, rischia lo stop se le misure non dovessero essere rifinanziate, anche per colpa della (tardiva) riforma del Codice appalti. «Il Pnrr non è mai stato sottoposto al parere dell’elettorato – ricorda l’economista Carlo Cottarelli – e non avere il conforto dell’opinione pubblica è una grande debolezza». Certo, i target e del Pnrr rientrano nell’«ordinaria amministrazione» dell’attuale esecutivo, e si intrecciano con alcune riforme – dalla Concorrenza a quella della giustizia, passando per Trasporti, Sanità, Istruzione, Transizione ecologica e digitale, vedi il completamento del Polo strategico nazionale che farà da Cloud per i dati e servizi pubblici considerati sensibili o strategici – ma da ottobre che cosa succederà? Il tema non è solo squisitamente politico: ne va della credibilità dell’Italia. Senza dimenticare che il Pnrr prevede anche l’aumento del 15% del gettito fiscale (rispetto al 2019) attraverso le «lettere di compliance» che l’Agenzia delle entrate sta mandando a tappeto. «Ma solo 92,4 miliardi sui 1.099 in pancia all’Erario sono realmente esigibili», ricorda Antonio Gigliotti del Centro studi Fiscal Focus, e dunque questo target è difficilmente raggiungibile.

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Se il prossimo governo rinegoziasse gli impegni dell’Italia, gli esborsi del Pnrr previsti dal regolamento del Recovery fund potrebbero slittare, saltare, se non addirittura essere richiesti indietro. E se il Sud si ferma, stavolta è per sempre. Il pericolo è quello di una recrudescenza dell’ordine pubblico. Finora le mafie hanno avuto gioco facile a imbrigliare il disagio, grazie al Reddito di cittadinanza e alle briciole del riciclaggio dei proventi del narcotraffico. Ma lì dove si voleva far ripartire la ricostruzione del Paese la stretta su consumi, energia e trasporti che si annuncia potrebbe lasciare solo macerie.

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