ISTAT: il reddito di cittadinanza ha evitato a un milione di trovarsi in povertà assoluta. Ci penserà l’inflazione (C. Meier)

ISTAT: il reddito di cittadinanza ha evitato a un milione di trovarsi in povertà assoluta. Ci penserà l’inflazione (C. Meier)

“Le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare il reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno evitato a un milione di individui (circa 500mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta”. Lo indica il rapporto annuale Istat. L’intensità della povertà, senza sussidi, nel 2020 sarebbe stata di 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28,8% (a fronte del 18,7% osservato). Tuttavia, si legge nel volume, il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato dal 2005 al 2021, passando da 1,9 a 5,6 milioni (il 9,4% del totale), mentre le famiglie sono raddoppiate da 800 mila a 1,96 milioni (il 7,5%). La povertà assoluta, tre volte più frequente tra i minori (dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021) e una dinamica particolarmente negativa caratterizza anche i giovani tra i 18 e i 34 anni (l’incidenza ha raggiunto l’11,1%, valore di quasi quattro volte superiore a quello del 2005, il 3,1%).

L’approvazione dell’Istituto di Statistica Nazionale dovrebbe quindi indurre anche il premier Mario Draghi ad accogliere le richieste di Giuseppe Conte e del M5s, che domandano responsabilmente di non smantellare la loro misura bandiera, anche perchè alla luce degli ultimi dati ha recato solo che dei benefici ai ceti più deboli della società, preservandone il potere di acquisto e garantendo loro un quotidiano più dignitoso.

Intanto lato lavoro, afferma Istat, “quasi un milione di dipendenti del settore privato percepiscono per il loro lavoro meno di 8,41 euro all’ora e una retribuzione totale al di sotto di 12mila euro l’anno. Il numero sale a 4 milioni di dipendenti – il 29,5% del totale – se si considera solo il limite della bassa retribuzione annua di 12 mila euro. Invece, al di sotto della sola soglia della bassa retribuzione oraria (8,41 euro) risultano 1,3 milioni di dipendenti, il 9,4% del totale – aggiunge Istat – in Italia il numero di dipendenti pubblici più basso d’Europa – Il prolungato blocco delle assunzioni e le riforme pensionistiche hanno portato a una riduzione del pubblico impiego di 200 mila occupati negli ultimi venti anni e all’innalzamento dell’età media di poco meno di 6,5 anni fino a 49,9 anni nello stesso periodo, secondo i dati riportati dall’Istat nel Rapporto annuale. “Tra le economie europee per le quali sono disponibili dati comparativi, sia pure con le cautele di un simile confronto, i dipendenti pubblici in Italia sono i meno numerosi in rapporto alla popolazione (5,6 ogni 100 abitanti) e i più anziani”, scrive l’istituto di statistica.

“La forte accelerazione dell’inflazione negli ultimi mesi rischia di aumentare le disuguaglianze poiché la riduzione del potere d’acquisto è particolarmente marcata proprio tra le famiglie con forti vincoli di bilancio”, osserva l’Istat. Per questo gruppo di famiglie a marzo 2022 la variazione tendenziale dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo è risultata pari a +9,4%, 2,6 punti percentuali più elevata dell’inflazione misurata nello stesso mese per la popolazione nel suo complesso.
Dopo una crescita record nel 2021 (+6,6%), a inizio anno il Pil dell’Italia è tornato sui livelli di fine 2019, anche se con progressi non uniformi tra i settori. Dalla seconda metà dello scorso anno lo scenario internazionale si è gradualmente deteriorato per effetto di strozzature dal lato dell’offerta e di consistenti spinte inflazionistiche, esacerbate dall’invasione russa dell’Ucraina. Quest’ultima ha anche peggiorato le attese, così come il cambio di intonazione della politica monetaria. Coerentemente, le prospettive di crescita mondiali per il 2022 e il 2023 sono peggiorate e quelle per l’Italia, pur restando positive, sono in decelerazione. L’inflazione a giugno ha raggiunto l’8,0% per l’indice NIC, ai massimi da gennaio 1986, sospinta dai rincari delle materie prime, in particolare del gas naturale, il cui prezzo è aumentato di circa sei volte.

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Guardando al futuro, la sfida della transizione ecologica – alla quale il PNRR dedica circa
85 miliardi di euro di investimenti – è particolarmente rilevante per il nostro Paese, che dipende dall’estero per oltre tre quarti dell’approvvigionamento energetico, principalmente di petrolio e gas naturale. Nell’ultimo decennio risparmi importanti sono stati conseguiti nei consumi dell’industria, molto minori quelli delle famiglie mentre sono rimasti stabili i consumi del terziario.

Di rilevanza strategica per sostenere lo sviluppo è anche la modernizzazione delle amministrazioni pubbliche, che dispongono di un organico ridotto e invecchiato: oggi l’età media dei dipendenti è di quasi 50 anni rispetto ai 42 circa nel settore privato. Oltre che nella semplificazione delle procedure amministrative, la sfida è rivolta allo sviluppo del capitale umano e al pieno sfruttamento delle tecnologie digitali per l’offerta di servizi. In questa prospettiva sono incoraggianti le esperienze dell’ultimo biennio. Le istituzioni pubbliche hanno rinforzato le assunzioni e la formazione e continuato a erogare servizi nonostante la maggior parte del personale operasse da remoto, ed è cresciuto l’utilizzo delle piattaforme digitali pubbliche da parte di cittadini e imprese.

“La forte accelerazione dell’inflazione negli ultimi mesi rischia di aumentare le disuguaglianze poiché la riduzione del potere d’acquisto è particolarmente marcata proprio tra le famiglie con forti vincoli di bilancio”, osserva l’Istat. Per questo gruppo di famiglie a marzo 2022 la variazione tendenziale dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo è risultata pari a +9,4%, 2,6 punti percentuali più elevata dell’inflazione misurata nello stesso mese per la popolazione nel suo complesso.

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Nel frattempo il Ministero dell’Economia prevede una crescita robusta per il secondo semestre.
Per il trimestre appena concluso “stimiamo una crescita robusta, che porta la crescita acquisita per il 2022 “sopra il 3%”. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Daniele Franco intervenendo all’assemblea dell’Abi. Nel trimestre la produzione industriale è aumentata, secondo le stime del Mef, del 2%. “Il governo intende proseguire” l’azione di contenimento dell’impatto del caro energia, ma gli interventi saranno “più selettivi” e calibrati sulle condizioni economiche delle famiglie, ha annunciato il Ministro.
“Le difficoltà e i rischi davanti a noi sono importanti, sarebbe tuttavia sbagliato abbandonarsi al pessimismo in una fase in cui ci sono molteplici segnali di fermento”. Lo ha sottolineato il ministro dell’economia, Daniele Franco, all’assemblea Abi, evidenziando la crescita degli investimenti e gli effetti del Pnrr che si concretizzeranno dal 2023 al 2026. Franco ha ribadito i forti elementi di incertezza, ma anche che “esistono validi motivi per essere fiduciosi che con il dinamismo del nostro sistema produttivo, con un’incisiva azione di governo e con il contributo essenziale delle parti sociali la crescita non si arresterà”.

L’Italia finirà in recessione solo nel caso di uno scenario di blocco delle forniture di gas dalla Russia. Lo afferma il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco secondo cui in questo scenario avverso il Pil (che dovrebbe crescere in linea con l’eurozona nel biennio) subirebbe “una contrazione nella media del biennio 2022-23, per tornare a crescere nel 2024”. Si avrebbero “ricadute dirette di tale interruzione sui settori a più elevata intensità energetica, ulteriori rialzi nei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento del commercio estero, un peggioramento della fiducia e un aumento dell’incertezza”.

Indicazioni “confortanti”, sottolinea Visco, arrivano sul fronte dell’inflazione di medio-lungo periodo e “dalla dinamica delle retribuzioni, che non sembra al momento indicare l’avvio di una pericolosa rincorsa tra prezzi e salari” secondo il quale questi segnali rilevano come l’obiettivo di riportare l’inflazione in linea “può avvenire mediante una normalizzazione graduale della politica monetaria e senza causare una brusca frenata dell’economia”.

Intanto, come ad aprile, anche a maggio l’inflazione resta la grande protagonista dell’andamento del disagio sociale nel Misery Index Confcommercio. L’indicatore si è attestato su un valore stimato di 16,5, in aumento di tre decimi di punto su aprile. “Come atteso – ha osservato il direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella – esauritisi gli effetti delle misure una tantum sugli energetici, l’area del disagio sociale è tornata a crescere. I moderati miglioramenti rilevati sul versante della disoccupazione non riescono a compensare le decise accelerazioni che si registrano sul versante dei prezzi. Questa tendenza, sulla base delle prime stime relative alle dinamiche inflazionistiche nel mese di giugno, non sembra destinata a esaurirsi nel breve periodo”. “I rischi di riflessi negativi, nei prossimi mesi, sui comportamenti delle famiglie, sulle possibilità di recupero dell’economia e sul mercato del lavoro, che già mostra segnali d’indebolimento – ha concluso Bella – diventano sempre più concreti, con un conseguente ampliamento dell’area del disagio sociale”.

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A maggio 2022 il tasso di disoccupazione ufficiale si è attestato all’8,1%, in ridimensionamento di due decimi rispetto ad aprile. Il dato è sintesi di una riduzione degli occupati (-49mila unità su aprile) e del numero di persone in cerca di lavoro (-44mila unità in termini congiunturali). A questa evoluzione si è associata, per il secondo mese consecutivo, una crescita degli inattivi (+48mila unità su aprile, concentrati prevalentemente nella classe 25-34 anni). Nello stesso mese le ore autorizzate di CIG sono state oltre 37,2 milioni, a cui si sommano circa 17,5 milioni di ore per assegni erogati dai fondi di solidarietà. In termini di ore di CIG effettivamente utilizzate, destagionalizzate e ricondotte a ULA, si stima che questo corrisponda a 90mila unità lavorative standard. Da questi dati risulta un tasso di disoccupazione esteso pari al 9,2% in lieve ridimensionamento su aprile.

Per quel che riguarda i prezzi dei beni e dei servizi ad alta frequenza d’acquisto hanno mostrato una variazione annua del 6,7% (il dato più alto degli ultimi venticinque anni) in netta risalita rispetto al 5,8% di aprile, mese su cui avevano pesato le riduzioni delle accise sui carburanti. I primi dati di giugno indicano come la tendenza all’incremento dei prezzi non si sia ancora arrestata, coinvolgendo in misura di rilievo proprio i beni ed i servizi acquistati con maggior frequenza dalle famiglie, paniere che, peraltro, risulta difficilmente comprimibile.

Christian Meier

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