La crisi di Governo si poteva evitare: analisi dei come e dei perchè

La crisi di Governo si poteva evitare: analisi dei come e dei perchè

La crisi di Governo si è consumata in una settimana, portando allo scioglimento delle Camere: analisi ragionata di motivazioni (poco chiare) e conseguenze (molto rilevanti).

«Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura». E’ l’articolo 88 della Costituzione della Repubblica Italiana, in nome del quale Sergio Mattarella riceve nel pomeriggio del 21 luglio al Quirinale i presidenti del Senato, Elisabetta Casellati, e della Camera, Roberto Fico.

Ora, a meno che il Capo dello Stato non voglia discutere di diritto costituzionale con le altre due più alte cariche della Repubblica, scioglierà le Camere. Significa che andremo a votare in autunno, nel bel mezzo della sessione di bilancio.

Anzi, per dirla tutta, di una sessione di Bilancio che cade a PNRR appena avviato (sono 190 miliardi che arrivano dall’Europa, mica bruscolini, e sono in gran parte a debito, quindi usarli male è rischioso), con un caro energia che manco negli anni ’70 quando andavamo in giro con le targhe alterne, con l’inflazione alle stelle, una guerra in Europa (la Russia ha invaso l’Ucraina alla fine di febbraio 2022) che, oltre a essere brutta e cattiva come sempre sono i conflitti bellici (e in questo caso, è molto molto brutta e cattiva), ha ripercussioni sull’economia.

Ripercussioni non solo sugli approvvigionamenti energetici ma anche su altre materie prime e catene di fornitura, per non parlare del grano (noi mangeremo pane tranquillamente per tutto l’inverno, mentre a risentirne davvero saranno le economie africane di cui non è il caso di preoccuparsi troppo quando abbiamo tanti problemi in casa nostra).

Ma cosa è successo di tanto grave da far cadere il Governo in piena estate, senza dare possibilità al Capo dello Stato anche solo di ipotizzare la  formazione di un nuovo esecutivo in Parlamento? Semplicemente, si è dissolta la maggioranza che lo sosteneva.

Quell’ampia maggioranza (tutto l’arco parlamentare con l’unica eccezione di Fratelli D’Italia), che si era formata solo un anno e mezzo fa per rimediare a un’altra crisi a dir poco surreale, che era arrivata nel bel mezzo della pandemia e ad inizio campagna vaccinale (con il senno di poi, è stato molto meglio Figliuolo delle primule), motivata dal fatto che il precedente Governo, guidato da Giuseppe Conte, non aveva chiesto all’Europa il MES sanitario (dopo mesi in cui non si parlava d’altro, appena è arrivato Draghi non se ne è più manco parlato). A dire il vero c’erano altre serissime ragioni. Conte appariva troppo in TV e utilizzava troppi DPCM. Quest’ultimo aspetto (l’utilizzo di forme legislative che non prevedono passaggi parlamentari) è stato spesso rimproverato anche a Draghi (troppi decreti!). A onor di cronaca, sono almeno 20 anni che gli esecutivi legiferano a suon di decreti e poi mettono la fiducia alle Camere. Ma tant’è.

Ma stiamo divagando, torniamo alla crisi di mezza estate, più grave di quella del Papetee di tre anni fa, perché non sembra che stavolta si potrà formare un nuovo Governo.

Il primo atto si è consumato giovedì 14 luglio, quando Draghi è salito al Colle per dare le dimissioni, dopo che il Movimento 5 Stelle (il partito più grosso fra quelli che sostenevano il suo Governo), non aveva votato la fiducia sul Decreto Aiuti. In realtà, tecnicamente, forse il M5S aveva persino votato al fiducia, ma si era poi astenuto sul provvedimento per il quale il Governo aveva posto la fiducia stessa. Insomma, un tecnicismo è di rara finezza. Il M5s voleva sostenere il Governo ma non approvare un decreto che regala a mezza Italia 200 euro e concede importanti agevolazioni per le imprese prevede cruciali misure contro il caro energia?

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Probabilmente il M5S non aveva nulla contro il decreto Aiuti, ma quel mancato voto era un atto squisitamente politico che voleva segnare una campanello d’allarme su un Governo, a detta di Giuseppe Conte, poco attento alle istanze della propria maggioranza: salario minimo e reddito di cittadinanza prima di tutto. Tutte cose su cui, par di ricordare, il premier e i ministri economici avevano appena tenuto una conferenza stampa per annunciare di averle messe in agenda, al massimo entro fine anno.

Attenzione: il Governo si era sì impegnato a recepire le istanze di Conte, ma a come si fa in un Paese in cui non si capisce mai chi appoggia cosa e chi vota cosa a fidarsi di un impegno preso in conferenza stampa? Forse ogni tanto un po’ di onestà intellettuale dovrebbe venire in aiuto, ma la politica italiana di trasparente ha ormai così poco che ci si è forse dimenticati chi è Mario Draghi e che è impensabile non fidarsi della sua parola.

Per chi lo avesse dimenticato, Mario Draghi non è oggi Presidente della Repubblica perchè solo pochi mesi fa le forze parlamentari (come un sol uomo) dicevano che era necessario al Paese come Capo del Governo in un momento delicatissimo. E siccome non hanno trovato un  degno sostituto (bruciando nomi di altissime cariche dello Stato) hanno rieletto Sergio Matterella (a parere di chi scrive, uno dei migliori presidente della Repubblica che l’Italia abbia mai avuto). Il quale però, non avrebbe voluto l’onere di un “bis” sentendosi ormai a fine carriera, guardando egli stesso al un degnissimo potenziale sostituto quale Mario Draghi. Il banchiere centrale che ha salvato l’euro dalla speculazione internazionale, resa possibile dalla incompiutezza della casa comune europea (la BCE non ha i poteri della altre banche centrali, pur battendo una delle monete più forti del mondo).

Ma no, c’era ancora l’emergenza Covid e il PNRR da portare avanti: non si poteva rinunciare a Mario Draghi come capo del Governo. Ed oggi invece? Una persone semplice e poco avvezza alle finezze estreme della politica potrebbe pensare che nel frattempo il PNRR potrà andare da sé e che in fondo siamo usciti dalla fase emergenziale. Ma la realtà odierna è ancor più complessa di quella della precedente crisi di governo.

Se è vero che siamo nel post-Covid (varianti permettendo), è anche vero che siamo ancora nel bel mezzo delle conseguenze economiche. E in più abbiamo l’inflazione alle stelle. Ed è persino scoppiata una guerra in Europa (anzi no, non è scoppiata una guerra: la Russia, una superpotenza nucleare guidata da un uomo solo (Vladimir Putin, al potere da qualche decennio) ha invaso dalla sera alla mattina l l’Ucraina). E’ la minaccia più grave alla pace in Europa mai avvenuta dalla fine della seconda guerra mondiale.

Come mai, allora, Draghi non è più indispensabile? Come mai è stato risucchiato dall’oggi al domani nel solito tritacarne italiano che non non ripaga mai impegni, né meriti e serietà, dimenticando l’abc della cultura istituzionale?

Mario Draghi non è solo una persona seria, capace e di prestigio: è una rara eccellenza assoluta. Non è diventato banchiere centrale perchè paracadutato in qualche modo da qualcuno. Draghi è un signore che ha fatto molta, molta carriera. Fondamentalmente, uno dei privilegiati che sono riusciti a mettere veramente a frutto le proprie, indubitabili capacità. Queste capacità le ha messe al servizio del Paese.

A proposito, visto che il primo scossone al Governo lo ha dato quel M5S che fa dell’antipatia per il Palazzo e per i suoi privilegi la sua bandiera, Mario Draghi ha fatto il presidente del Consiglio gratis. Nel senso che ha rinunciato all’appannaggio (lo stipendio) che la carica gli attribuiva.

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Tutto questo excursus per sottolineare che, a parere di chi scrive, dell’impegno di Draghi a fare salario minimo e taglio del cuneo fiscale entro fine anno, ci si poteva fidare eccome. Sia analizzando i fatti (sopra esposti) sia applicando un qualsiasi altro metodo di analisi, per esempio quello scientifico (in base al quale una cosa è vera fino a prova contraria).

Conte ha ritenuto che i suoi nove punti non fossero stati adeguatamente valorizzati. E il M5S non ha votato la fiducia al dl Aiuti (o forse ha votato la fiducia ma non il decreto, la confusione è inevitabile). Insomma, Conte ha portato Draghi ad un punto di non ritorno. Le dimissioni. E siccome fin qui l’analisi pare troppo a un panegirico, inseriamo una nota critica: il premier non era obbligato a dimettersi. ha scelto di dimettersi. E il dubbio che siano intervenuti personalismi (l’impressione è che fra lui e Conte non corresse buon sangue da tempo) e la tentazione del braccio di ferro c’è stata.

Draghi l’ha definita una scelta “sofferta” ma “dovuta”, per la frattura del patto di fiducia interno alla maggioranza (se un partito di maggioranza non vota la fiducia, tendenzialmente il Governo o sostituisce qualche ministro o si dimette) ma qui siamo alla finezza istituzionale della “fiducia sì ma decreto no”. Era una finezza che consentiva a Draghi di far finta di nulla e di proseguire (aveva la maggioranza delle Camere e il decreto era comunque passato). Draghi, qui, ha fatto una scelta personale. Motivata, probabilmente, anche dalla “sua” cultura istituzionale. Che prevede il rispetto dei patti sostanziale e non solo formale.

Se un premier comunica al Paese che farà i provvedimenti chiesti dal suo principale partito di maggioranza, poi deve incassare una fiducia piena e sostanziale. Non cavillosa. Non è detto che questa posizione sia condivisa da tutti. I bizantinismi della politica piacciono a molti, possono addirittura essere ritenuti skill apprezzabili. Ma Draghi non è bizantino. Se ha fatto un patto con un alleato, e lo sta rispettando, poi si comporta di conseguenza. L’impressione è che questa crisi sia nata anche da queste diverse impostazioni culturali.

Comunque, si poteva ancora rimediare.

E il saggio Mattarella ci ha messo una pezza. Il presidente della Repubblica ha chiesto al premier un passaggio alle Camere. Perché l’Italia è una repubblica parlamentare, il Parlamento è sovrano, e il Governo risponde al Parlamento. «Ritengo che un Presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile», ha detto Draghi in Senato. In realtà, non è vero. l’Italia è una Repubblica Parlamentare, il Governo non viene eletto. E’ però vero che Draghi non è un politico, nel senso che non è mai stato eletto in Parlamento. In questi casi, si parla di Governo tecnico. Oppure, ed evidentemente era questa la cifra politica dell’esecutivo Draghi, di un Governo istituzionale. Questo gli aveva chiesto Mattarella nel 2021, questo hanno ribadito tutti i partiti quando hanno eletto il presidente della Repubblica nel febbraio scorso.

Draghi si è quindi presentato in Parlamento. Con un programma di fine legislatura che recepiva le istanze dei 5 Stelle, e affrontava tutte le attuali emergenze. E chiedeva il rinnovo della fiducia. Per pochi mesi, fino alla primavera del 2023, scadenza naturale della legislatura.

I più alti rappresentanti del popolo italiano, i parlamentari, tutti eletti regolarissimamente (con leggi elettorali che non lasciano molta scelta, diciamolo, ma fare una legge elettorale è notoriamente una cosa molto difficile, se ne sono succedute un numero impressionante negli ultimi anni, e alcune sono state bocciate dalla Corte Costituzionale), hanno pensato che fosse cosa da ponderare bene il rinnovo della fiducia a uno dei più noti, preparati ed efficaci economisti del pianeta, che da un anno e mezzo, dimostrando anche ai più scettici che non è un tecnocrate e che è perfettamente capace di rispettare politica e istituzioni.

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Quindi, il M5S ha continuato a negare la fiducia (eppure adesso salario minimo e taglio del cuneo fiscale chissà che fine faranno), mentre il centrodestra ha preparato una mozione di fiducia a un Draghi bis che non si era mai presentato in Parlamento. Tralasciamo i commenti e le posizione delle altre forze politiche come il PD, che invece hanno sempre sostenuto il Governo ma  non hanno dato l’impressione di essere del tutto consapevoli della crisi che si stava consumando. O forse sì ma stavano  gongolando perché la colpa era di qualcun altro.

Il fatto è che nessuno, assolutamente nessuno, in Parlamento è riuscito a trovare una sintesi che evitasse il peggio. Per l’ennesima volta, fra l’altro: anche il Governo Conte era caduto in modo surreale, per non parlare dello spettacolo offerto in sede di elezione del presidente della Repubblica.

Risultato: dimissioni irrevocabili, per mancato sostegno (questa volta senza alcuna finezza, evidentissimo) della maggioranza. Si vota in autunno. In genere, entro il 15 ottobre, bisogna presentare la Legge di Bilancio (la prepara il Governo e la presenta in Parlamento, che poi la discute), mentre quest’anno il 15 ottobre non avremo nemmeno il Parlamento già insediato, con l’inflazione alle stelle e la guerra in Europa. La Manovra sarà presentata da un Governo che, almeno, avrà la forte investitura del voto popolare. Sperando che non ci mettano mesi a formarlo.

Concludiamo con le parole di Draghi alla Camera: «Certe volte anche il cuore dei banchieri centrali viene usato. Grazie per tutto il lavoro fatto insieme in questo periodo. Alla luce del voto espresso ieri sera dal Senato della Repubblica, chiedo di sospendere la seduta perché mi sto recando dal Presidente della Repubblica per comunicare le mie determinazioni». Non si può dire che non sia sintetico.

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