E così, di nuovo, gli italiani si ritrovano a domandarsi il perché dell’ennesima crisi di governo. Dopo neanche un anno e mezzo dall’insediamento del governo Draghi – nel pieno di uno scenario internazionale da incubo – è decollata una crisi figlia del disfacimento del Movimento 5 Stelle, il più numeroso gruppo parlamentare, della sua (mai nata) leadership e della tenuta direi quasi psicologica dei suoi eletti. In questo senso, davvero, questo autodafé di mezza estate dà l’immagine più cristallina di cosa rappresenti il parlamentarismo italiano e dell’importanza dei gruppi nei palazzi, più che dei partiti fuori di essi, talvolta dal consenso inesistente o lillipuziano.
Il termovalorizzatore di Roma, di gran lunga il male minore per ripulire una città strutturalmente in crisi sui rifiuti e che non ha altre scelte. Oppure il superbonus edilizio 110%, che sta provocando gravissimi danni dell’erario, con perdite per oltre due miliardi date in qualche modo per “naturali” pur di sostenere edilizia e occupazione. O ancora il salario minimo: in Italia non ha molto senso vista l’ampia diffusione – intorno al 90% – della contrattazione collettiva che, forse, da quella cifra oraria minima uscirebbe perfino indebolita. Per non parlare di quel reddito di cittadinanza fatto a metà, senza una vera rete per dare lavoro. Giuseppe Conte, che una certa empatia aveva raccolto intorno a sé nei mesi traumatici del Covid, ha messo insieme questi e altri punti per partorire il suo pasticcio balneare: sfruttare “battaglie storiche” che storiche non sono più e il cui fallimento è solo sulle spalle del Movimento 5 Stelle pur di bloccare l’emorragia dentro e fuori dalle assemblee.
Anzi, il fu Movimento, che ormai non è neanche più tale dopo la scissione di Luigi Di Maio. E che ciononostante consiste alle Camere di 104 deputati e 62 senatori: il gruppo più numeroso a palazzo Madama, anche se di un solo seggio, e il secondo a Montecitorio. Ma è l’ultimo giro di giostra con questi numeri: dalle prossime elezioni usciranno, per volontà degli stessi pentastellati, 400 deputati e 200 senatori. Cambieranno dunque i rapporti di forza, anche in base alle circoscrizioni elettorali (oltre che ai sondaggi, che premiano le destre e affossano i reduci contiani). Se c’era un momento in cui provare ad alzare la voce e mettere in difficoltà il presidente del Consiglio di maggior spessore internazionale forse di sempre era proprio questo. Dai “pieni poteri” di Salvini ai “pochi poteri” di Conte, pur sempre utili a sgambettare l’ex banchiere centrale europeo, furioso per la rissa fra mezze tacche in cui si è trovato coinvolto.
Il calcolo dell’ex avvocato del popolo era dunque piuttosto leggibile, per quanto claudicante. Per non affogare definitivamente, dopo l’estinzione alle elezioni amministrative, occorreva strappare, provare a neutralizzare gli scissionisti del ministero degli Esteri confidando anche sul residuale consenso ereditato dal suo secondo esecutivo pandemico. Magari non al punto di far cadere il governo ma tant’è, l’incidente era forse nel conto: la madre dei Draghi è pur sempre il Parlamento. Ancora per qualche mese questo Parlamento.
Serviva dunque un pretesto, uno qualsiasi, ed è stato individuato il più contraddittorio: quel decreto Aiuti che invece i soldi nelle tasche degli italiani prova a metterli. E che sì, contiene la norma sul termovalorizzatore romano che forse si poteva stralciare e discutere a parte, ma che non giustifica in alcun modo una crisi di governo se non, appunto, inquadrandola nell’ottica di un ultimo tentativo di salvezza in ottica elettorale. Le ultime grida di un Movimento 5 Stelle rimasto incastrato nella scatoletta di tonno che doveva scardinare e che nessuno, dall’esterno, riesce più a capire. Triste, solitario y final.
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