Chi è bugiardo è ladro, recita un adagio, e da queste parti non c’è uno che non sia bugiardo. Non al governo, che sarebbe troppo facile: dappertutto, ministeri, Parlamento, partiti, virologi, opinionari, statistici, Stranamore dei numeri, fino ad arrivare ai cialtroni che rifanno tre o quattro volte la stessa intervista casuale al telegiornale, per la strada: “Ah, io per me la mascherina la porto sempre, anzi due o tre sovrapposte e speriamo che finisca”. Speriamo cosa? Che finisca cosa? Da due anni annunciano, ciclicamente, l’addio all’orrenda quanto inutile pezza che fa ammalare, che indebolisce le difese naturali, con una accelerazione nelle scorse settimane: il risultato è che, alla fatidica scadenza del primo di Maggio, la pezza rimane tanta e quanta. Lo ha confermato questo ministro, questo Speranza che solo a definirlo ministro tremano le dita sulla tastiera e uno si vergogna. Speranza, che freme mentre annuncia la miseria della proroga e gode di più chiamandola nuova libertà: ancora e sempre nei trasporti a lunga e locale percorrenza, negli ospedali e presìdi sanitari, sia chi ci lavora che chi ci va a trovare i malati, nelle rsa per i vecchi, nelle scuole per i giovani, in tutti e dico tutti gli eventi nei cinema, teatri, palazzetti, sale. Che c’è di nuovo? Dove sta la riapertura?
In una farsa umiliante non tanto per chi la impone, perché è bugiardo (con tutto quel che ne consegue) e lo sappiamo, ma per noi, che non sappiamo sbarazzarcene, che non riusciamo a fregarcene. La funzione della finzione. Dite che siamo, e non da ieri, l’unico posto al mondo rimasto? Pronti arrivano i ladri di numeri che truccano i dati, che agitano ancora la stessa strage sulla quale si sono sbagliati tutte le volte, che fanno rientrare tutto nello stesso contagio e sorvolano quanto a incidenza, gravità, conseguenze l’obiettivo restando quello dello zero, il Covid-zero, come in Cina dove hanno un modo infallibile di procedere: il Covid lo debelliamo debellando l’umanità. Se a Shangai su 26 milioni si contagiano in cento, o in mille, ebbene vengano distrutti tutti, senza distinzioni, e vediamo chi la spunta. Creperanno? Benissimo, non sarà mica la prima volta, citofonare Mao Tse Tung. Una strategia che piace evidentemente anche qui, in Italia, unico Paese a seguirla in modo pedissequo. Abbiamo sospettato a lungo che la sciagurata, delirante gestione della pandemia fosse di chiara ispirazione pechinese, adesso non ne siamo più così sicuri: la derivazione è certa, ma qui si vuole andare oltre, le ragioni della convenienza politica, e perfino del fanatismo, sono sfuggite e ormai si alimentano di pura insania autorigenerante. C’è l’orgasmo del controllo, del regime, dello stato che stritola, dell’essere gli unici, i migliori, i soli che capiscono, c’è la foia del fine pena mai. Del resto, Draghi l’aveva detto già sotto Pasqua: teniamo tutto pronto, così la prossima volta abbiamo già il lavoro fatto, solo che potremo andarci molto più duri.
E, siccome un contagio vale l’altro e un pianeta terra senza agenti patogeni non si dà in natura, un mondo ridotto a camera iperbarica non è pensabile, cosa impedisce di agire allo stesso modo per qualsiasi ceppo influenzale o forma aliena di contagio? Senza contare le millantate esigenze legate all’energia, al clima, alla guerra, c’è sempre una valida ragione per imporre maschere e copritutto. E per tirar fuori ancora il greenpass, altra promessa da tecnici più che marinai: feticcio pezzato e feticcio puntiforme (e vaccino in saecula saeculorum) vanno in simbiosi, si legittimano a vicenda, li abbiamo trasformati in stili di vita, abolirli quando la popolazione non chiede altro sarebbe da stupidi. Ma chi scrive è reduce dall’ennesimo viaggio in treno, concluso dall’ennesima nausea per soffocamento con ferite dietro le orecchie. Chi scrive la mascherina in treno la toglie, la abbassa, sfidando lo sguardo di odio cretino dell’immancabile disagiata che, come sale, ricopre il suo posto di assurdi veli di carta igienizzata, “sanificata”. Solo che un ribelle non fa primavera, nemmeno se si ostina a litigare coi controllori e gli ipocondriaci. Rimane, quanto meno, l’esperimento sul campo: vado a Milano, nella rinomata hamburgeria dove il personale sudamericano neanche fai in tempo a varcare la soglia che ti aggredisce con la richiesta di QR (che uno la butterebbe subito in cagnara ma come fa, essendo ospite?); la sera invece si va nel caro vecchio ristorantino cinese dove tutti hanno gli occhi a mandorla ma parlano con stretta cadenza meneghina e qui nessuno si sogna di chiederti niente. Anche nei negozi entro senza, se poi me lo fanno notare o me ne vado o, a seconda dell’umore, mi adeguo. Ma mi accorgo che sono sempre di più quelli che fanno finta di niente: amico, se tu non mi crei problemi, se non sei un rompicoglioni formato Selvaggia Lucarelli, che dà di matto anche al decollo, considerando quello il suo mestiere, perché dovrei creartene io?
Poi ciascuno si facesse le riflessioni, o le menate, che vuole, ma non ci si venga a dire che non siamo prede della solita buffonata circolare, autorigenerante che quei buffoni dell’informazione di regime, mantenuta dal regime, chiamano “rivoluzione”, “liberazione”, “ritorno alla normalità”. Una menzogna collettiva, di tutta la politica, opposizione compresa, e della gran parte della gente che finge di crederci.
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