Anche i simboli dei partiti che correranno alle elezioni del 25 settembre non hanno resistito alla personalizzazione della politica. Gran parte dei loghi delle formazioni che si sfideranno alle urne reca infatti al proprio interno i nomi dei leader. I casi sono molteplici: Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni, Forza Italia con Berlusconi presidente e la Lega per Salvini premier.
Anche nel centrosinistra si registra un’evoluzione analoga con Impegno civico che si identifica con Di Maio, il terzo polo (Italia Viva e Azione) con Calenda e più Europa con Emma Bonino. Le uniche eccezioni, tra i partiti più grandi, sono il Partito democratico e il Movimento 5 stelle. La personalizzazione, insomma, domina la politica: non è più sfida tra partiti ma tra leader. Tra figure che si scontrano e non tra apparati e ideologie. La distanza tra la politica contemporanea e quella novecentesca del resto è enorme.
Se in passato il conflitto era ideologico, tra visioni del mondo e universi valoriali contrapposti, oggi il conflitto è tra personalità. Non esiste più la competizione tra Dc e Pci, i cui protagonisti erano importanti ma non determinanti, ma solo lo scontro tra Meloni e Letta. Questo cambio di paradigma è dovuto a diversi fattori. In primis, al tramonto delle ideologie e alla destrutturazione dei partiti di massa che erano i principali attori della politica durante la democrazia novecentesca. E poi all’avvento delle nuove tecnologie che ha profondamente trasformato l’arena del confronto politico.
La televisione, affiancata all’esaurimento delle grandi narrazioni, ha portato al superamento del partito come agenzia di socializzazione e ha imposto un profondo mutamento nel modo di intendere e vivere la politica. Che non è più mediata da strutture organizzate e ideologie ma che prevede un rapporto immediato tra leader e cittadino. Si sono esauriti i tempi lunghi delle mediazioni, sostituiti dai tempi rapidi delle dichiarazioni televisive (soundbite) e dei tweet. Vige insomma un’immediatezza dominata dall’immagine televisiva e social che è ormai diventata cruciale per il cittadino elettore ma anche per i commentatori.
I leader devono saper apparire e raccontarsi in modo da bucare lo schermo. La costruzione dell’immagine e della comunicazione ha dunque sostituito la centralità partitica. Chi non è in grado di comunicare in modo efficace, non a caso, è tagliato fuori. Questa svolta, imposta in Italia da Berlusconi nel 1994 con la televisione, si è ormai consolidata. E i social non hanno fatto altro che accelerarla. Coinvolgendo anche i simboli dei partiti sempre più identificati con i rispettivi leader.
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