Alle spalle due anni caratterizzati dall’emergenza pandemica. Periodo che, se da un lato ha gettato nuove insicurezze sulla società, dall’altra hao aperto le porte a realtà possibili e per molti versi ancora da sublimare. Come è il caso delle opportunità lavorative date dal lavoro agile – meglio noto come smart working – che due studi citati dal Sole 24 Ore hanno fotografato, da un lato, come possibile soluzione lavorativa nei luoghi dove il livello di occupazione è basso e dall’altro quale strumento ancora sottoutilizzato, nonostante le evidenti positività. Tanto più che il Dl Aiuti bis, così come varato dal Consiglio dei ministri, attualmente al vaglio delle commissioni parlamentari per il parere, non contempla il rinnovo del lavoro da remoto per i “fragili” e per genitori con figli di età inferiore ai 14 anni. “Non si è trovato l’accordo”, dicono fonti governative che sottolineano però la possibilità di reinserire la misura nel testo in sede di converisone in legge.
Lavoro agile opportunità per il Sud
Nell’attesa che ciò avvenga i due studi citati dal Sole 24 Ore certificano la difficoltà delle aziende italiane a portare a regime il lavoro agile. La prima ricerca dal titolo South working per lo sviluppo responsabile e sostenibile del paese, realizzato da Randstad e Fondazione per la Sussidiarietà che sarà presentato al Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini parte dal presupposto che il 77% delle aziende ha adottato il lavoro agile, mentre 46 su 100 sono disposte ad avviare progetti di lavoro da remoto da 2 a 5 giorni a settimana.
Quello che risulta in maniera lampante è che dei 1,4 milioni di offerte pubblicate sui principali siti di ricerca online tra il 2019 e il 2021, solo l’8 per cento di queste proveniva dal Sud a fronte del 14% dei posti di lavoro proposti concentrati al Centro e ben il 78% al Nord. Una tendenza che, nota il quotidiano finanziario, rispecchia il settore hi-tech che viaggia su percentuali simili.
Cosa accade lo dice il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Giorgio Vittadini, che nota come il lavoro agile può diventare un’occasione per mantenere il legame con la territorialità senza rinunciare alla propria professionalità. Ovvero, il lavoro offerto al Nord Italia in termini di smart working può diventare un’opportunità lavorativa anche per il Sud, che quindi si candida a ospitare dipendenti di aziende ubicte in altre latitudini. “Una occasione straordinaria per favorire la crescita del Paese e abbattere storiche diseguaglianze”, dice Vittadini. “E’ una strada che potrebbe coinvolgere anche la Pubblica amministrazione. Un percorso sussidiario – spiega dalle pagine del giornale di Confindustria – un percorso sussidiario che parte dal basso” e potrebbe “cambiare il mondo del lavoro” e “l’imprenditorialità al Sud”.
Gli hub del lavoro favoriscono il decentramento degli uffici
Dallo studio emerge la nascita di “hub” del lavoro, ovvero spazi di co-working (lavoro condiviso) oppure veri e propri uffici dislocati nel sud italia da parte di aziende con sede al Nord che sempre di più hanno difficoltà a trovare lavoratori specializzati al Nord. Molte aziende sembra siano interessate a valoriozzare questo aspetto, trasferendo spazi fisici aziendali in luoghi che lo studio definisce “fragili” dal punto di vista economico ma che, magari, sono ricchi di potenziali lavoratori specializzati. Gli hub presi in considerazione dallo studio, in tutto sei, dimostrano che si tratta di una realtà già funzionante che “favorisce il bilanciamento vita-lavoro” e “sostenendo un indotto locale”.
Quello che mancherebbe eventualente è una adeguata infrastruttura digitale e spazi adatti. Serve quindi uno sforzo collettivo e multilaterale tra aziende, istituzioni e Università.
Italia ultima in Europa per utilizzo del lavoro agile
Davanti a tutto ciò però le resistenze sono ancora palpabili. Intanto l’Italia risulta all’ultimo posto per numero di lavoratori che per almeno un giorno a settimana lavora da remoto, appena un terzo degli 8 milioni potenziali impiegati agili, dice Randstad Research (il centro di ricerca promosso dal gruppo). In tutta Europa questo sembra essere il nuovo modello lavorativo, in Italia si è tornati alla tradizione. Il rapporto analizza i dati e sottolinea come in Italia si sia passati dai 1,15 milioni di lavoratori agili nel 2019 a 2,9 nel 2021. “Un dato in crescita che tocca ancora solo il 37,2% del potenziale calcolato da Randstad”, spiega il quotidiano milanese.
Il raffronto con l’Europa poi dice che siamo ultimi e unici ad arretrare: la media europea è passata dal 5,4 del 2019 al 12 del 2020 fino al 13,4% del 2021 (con punte del 32% in Irlanda e 27% in Svezia). L’Italia – insieme alla Spagna – dopo la fine della pandemia fa segnare un arretramento nel dato che dal “3,6% del 2019 passa al 12,2% del 2020, per poi scendere all’8,3% della fine del 2021″.
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