Le condizioni di Conte a Draghi: dalle armi ai rifiuti di Roma

Le condizioni di Conte a Draghi: dalle armi ai rifiuti di Roma

No all’invio di armi a lunga gittata all’Ucraina e parlamentarizzazione del quarto decreto interministeriale con almeno un’informativa, no al termovalorizzatore a Roma, sì al salario minimo, no al ridimensionamento del reddito di cittadinanza. Giuseppe Conte, anche se è ancora offeso per le presunte intromissioni del premier nella vita interna del M5s e addirittura evoca la sua mano dietro la scissione ad opera di Luigi Di Maio il 21 giugno scorso, non ne vuole fare una questione personale.

L’incontro con Mario Draghi fissato per lunedì a Palazzo Chigi dopo molti giorni di tensioni è per il presidente dei 5 Stelle un fatto politico, e come tale va preparato. Dunque sì a un elenco di temi da sottoporre come “condizione” per la permanenza del M5s al governo e sì a un preventivo confronto con la dirigenza pentastellata nel Consiglio nazionale. Dopo l’incontro, poi, Conte riunirà nuovamente il Consiglio nazionale e i gruppi parlamentari. L’obiettivo è tenere unito quel che resta del movimento evitando altre uscite. Ci vorrà qualche giorno, dunque: l’incontro servirà al massimo a siglare una tregua armata.

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Nell’elenco di doglianze di Conte non dovrebbe esserci, a quanto si apprende, la richiesta di prorogare il superbonus al 110%. E questo dettaglio fa ben sperare gli sherpa di Palazzo Chigi, dal momento che Draghi si è espresso più di una volta pubblicamente contro la proroga dello strumento. Ma anche sul resto c’è poco margine di trattativa: l’invio di armi va inserito nell’ambito degli accordi con la Ue e la Nato («la posizione della Nato è di sostegno all’Ucraina per tutto il tempo necessario: se l’Ucraina non si difende non c’è pace, c’è sottomissione, schiavitù e continuerà la guerra», ha ribadito Draghi giovedì in conferenza stampa). Quanto al termovalorizzatore, la norma contenuta nel Dl Aiuti che dà al sindaco di Roma Roberto Gualtieri i poteri per costruirlo è nell’«interesse dei cittadini» – si rimarca a Palazzo Chigi – vista la situazione drammatica dei rifiuti nella Capitale.

Sul salario minimo, poi, c’è l’assenso del Pd e della sinistra ma non di Lega e Forza Italia: al massimo da Palazzo Chigi può arrivare l’impegno ad aprire un tavolo con i partiti della maggioranza e le forze sociali. Resta il reddito di cittadinanza, sul quale come abbiamo scritto sul Sole 24 Ore di ieri Draghi è disposto a stendere il suo mantello protettivo. Mantello che potrebbe arrivare a comprendere la cancellazione dal testo finale del Dl Aiuti, sul quale probabilmente verrà messa la fiducia, dell’emendamento approvato nelle scorse ore in commissione con il voto contrario del M5s (una stretta: le offerte di lavoro che i percettori possono rifiutare nel massimo di due potranno arrivare anche direttamente dai datori di lavoro e non più solo da navigator e centri per l’impiego).

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Quel che è certo è che Draghi vuole un chiarimento definitivo: o dentro o fuori. Unica condizione dal suo punto di vista per non farsi logorare e continuare a «fare». Quanto a Conte, le spinte dei suoi per passare all’appoggio esterno sono in crescita e chi ha parlato con lui nelle ultime ore – come il segretario del Pd Enrico Letta e il leader di Articolo 1 Roberto Speranza – ne ha tratto la conclusione che il presidente del M5s sta davvero pensando allo strappo.

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