Le mani della ndrangheta sui lavori delle ferrovie

Le mani della ndrangheta sui lavori delle ferrovie

Salgono a 41 gli indagati nell’inchiesta della Procura di Milano che ha ipotizzato, tra l’altro, presunte infiltrazioni delle cosche nei lavori sulla rete ferroviaria italiana e che nel mese di febbraio ha portato a 15 arresti. È quanto emerge dall’avviso di conclusione dell’indagine firmato dal pm della Dda milanese Bruna Albertini e notificato nei giorni scorsi, nel quale si contesta a oltre 30 persone di far parte di “una associazione per delinquere, operante tra Varese e Milano e zone limitrofe nonché sull’intero territorio nazionale avente solidi e perduranti legami” con la cosca Nicoscia-Arena.

Nelle oltre 50 pagine il pm, che contesta 34 capi di imputazione, sono anche ipotizzati reati tributari, bancarotta, riciclaggio, autoriciclaggio e per alcuni l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, perché con un sistema di incassi ‘in nero’, società riconducibili ai clan, attive tra il Varesotto e Isola Capo Rizzuto (Crotone), avrebbero sostenuto affiliati detenuti e le loro famiglie. 

L’indagine e gli arresti contro le cosche con le mani su Rfi

“Questa ‘ndrina – aveva spiegato a febbraio il generale Crescenzo Sciaraffa, comandante provinciale della guardia di finanza di Varese – controllava la manovalanza, ne raffreddava qualsiasi iniziativa per migliorare le condizioni di lavoro e li minacciava di licenziamento. Questo è un aspetto molto inquietante emerso dalle indagini. Le cosche si gestiscono in regime di sostanziale monopolio l’aggiudicazione delle commesse per i lavori di armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana”.

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A febbraio, le fiamme gialle di Milano e Varese avevano eseguito un’ordinanza del gip di Milano nei confronti di 15 persone, residenti perlopiù nel Varesotto e in Calabria, accusati di appartenere a un associazione a delinquere, radicata in Lombardia, attiva nel settore dell’armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana e considerata colpevole di reati fiscali che vanno dalla bancarotta fraudolenta alla frode, oltre che di agevolare la cosca ‘ndranghetista Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto.

Ai 15 indagati i militari avevano sequestrato preventivamente beni, immobili e disponibilità finanziarie per l’equivalente di 6,5 milioni di euro. Gli investigatori avevano scoperto una rete di società intestate a prestanome dietro i quali si celavano proprio gli arrestati, tutti vicini alla ‘ndrina Arena, anche per vincoli di parentela. Grazie a queste ‘imprese schermo’riuscivano a vincere i bandi di Rfi e delle sue controllate per lavori di manodopera e armamento. Poi facevano figurare come distaccato quello che a tutti gli effetti era lavoro dipendente della manovalanza.

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Tale frode, insieme all’evasione di tasse e alle compensazioni con falsi crediti Iva – aveva fruttato oltre 6,5 milioni di euro, che in parte erano stati riciclati anche all’estero. Le indagini, inoltre, sono state in grado di rivelare come alcuni membri dell’associazione a delinquere favorissero la ‘ndrina Arena mantenendo i detenuti ‘ndranghetisti e procurando falsi contratti a persone che hanno avuto problemi con la legge per ottenere i benefici previsti.

Rfi: “Noi parte offesa”

In una nota, Rete ferroviaria italiana si era già dichiarata parte offesa dell’inchiesta: “In merito all’operazione in corso della guardia di finanza di Milano e Varese, sulle presunte infiltrazioni mafiose in alcuni lavori di manutenzione ferroviaria, Rfi, che nelle indagini compare come parte offesa, si è subito attivata nei confronti delle imprese coinvolte al fine di acquisire ogni elemento utile per valutare le più opportune iniziative nell’interesse dell’azienda”.

“La società – prosegue la nota – ha già avviato un lavoro per rafforzare le azioni contro i tentativi di infiltrazione criminale negli appalti e dà la sua piena disponibilità per aprire un tavolo con gli organi competenti e contribuire a trovare ulteriori soluzioni, ancora più efficienti e tempestive”.

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