Le Storie vere di Sanpa, Giuseppe di Rimini: venivo dal carcere e un giorno Vincenzo mi portò dal ministro Martinazzoli per farmi avere la grazia


Ciao Giuseppe, allora, hai letto qualcuna delle interviste?
Si, ho letto un po’ quella che avete fatto a Fabio (Fabio Mini, ndr).
Tu conosci Fabio da quanto?
Praticamente da quando eravamo bambini. Abbiamo vissuto i tempi di San Patrignano insieme e stavamo in una compagnia in cui c’ero anche io.
Quanti anni hai Giuseppe?
Ho 60 anni e quando sono entrato a SanPa avevo 19-20 anni. Sono entrato grazie a dei giudici di Rimini che stavano provando degli esperimenti nelle comunità. Mi hanno chiesto se volevo andare, ho accettato. Sono stato uno dei primi a fare la semilibertà. Dal carcere andavo su durante il giorno e la sera tornavo in carcere. Inizialmente non dormivo lì, erano gli inizi degli anni ’80. Proprio all’inizio. Io venivo da una storia di eroina. Ci ero cascato con le amicizie, discoteche, gli anni di piombo su Rimini, era arrivata questa valanga di eroina e ci siamo caduti dentro in tanti, era la moda. In quella compagnia era diventata proprio come una moda.
Una moda che non si sapeva dove portava.
Nessuno sapeva dove ci portava, ci siamo caduti dentro e basta. All’inizio non sapevi niente, poi capivi che dovevi rimediare i soldi, e purtroppo per rimediare i soldi si andava anche a rubare, si facevano anche delle rapine, lì a Rimini e nei dintorni. Mi avevano preso per rapine e diversi furti e mi hanno portato in carcere. Venne Vincenzo a trovarmi in carcere, mi ha chiesto se volevo provare l’esperienza San Patrignano e così ho fatto. È venuto 2-3 volte. E poi il giudice mi ha affidato a lui.
Vincenzo cosa ti chiedeva nei colloqui?
Chiedeva se volevo provare il percorso in Comunità, già c’erano su da lui Fabio e altri miei amici. Lui mi avrebbe portato fuori dal carcere, a San Patrignano. Così ho cominciato il percorso, di giorno a San Patrignano e di notte in carcere. Vincenzo mi mise in cucina. All’inizio non c’erano i settori, non si sapeva bene cosa fare. Dopo un mese o due Vincenzo vedeva che facevo avanti e indietro, allora un giorno mi ha preso un giorno insieme a un altro e siamo andati a Roma, da Martinazzoli (Mino Martinazzoli, DC, ex ministro Grazia e Giustizia, ndr)  che mi ha dato la grazia. E lì è cominciato il mio percorso di San Patrignano. Mi sono molto affezionato al posto. Hanno scritto anche un libro su di me. All’inizio ho avuto un percorso un po’ movimentato, scappavo, tornavo, scappavo, tornavo. Vincenzo mi era sempre venuto a riprendere. Un giorno con lui abbiamo deciso che non sarei più scappato, abbiamo deciso di fare un settore nuovo e abbiamo fatto nascere il settore dei cavalli, la Scuderia. Io e Vincenzo.
Perché scappavi?
Non ero ancora ben inquadrato in comunità, avevo dei richiami forti dall’esterno. Essendo San Patrignano a Rimini, vicino casa mia, allora scappavo. Penso di essere stato quello che è scappato più volte di tutti da San Patrignano. Mi sono sempre tornati a prendere Fabio, Pablo, i vecchi di San Patrignano, Walter Delogu. Ogni volta che andavo via venivano giù a Rimini in piazza, sapevano le zone che frequentato e mi riportavano là. 
Quindi sei stato il primo a lavorare nella leggendaria Scuderia di San Patrignano?
Sì sì.
Ma i cavalli dove li avete presi?
All’inizio a Morciano da un certo Mario, poi ci siamo sempre di più appassionati alla cosa, siamo andati in Inghilterra, in Olanda, in Belgio, un po’ in giro per il mondo, sempre per i cavalli. Da noi a un certo punto c’era tutto, ho ancora delle vecchie fotografie, proprio del vero inizio, ci siamo io e Vincenzo a cavallo. Si stava assieme, Vincenzo mi aveva dato il Settore, eravamo sempre assieme. Lui era davvero appassionato di animali, di cavalli in particolare. Si parlava di come sviluppare il posto, mi affidava sempre più ragazzi, e poi è cresciuto tutto, è cresciuto il Settore, siamo diventati importantissimi nel mondo dell’equitazione. C’erano oltre 140 cavalli. Abbiamo cominciato con le gare, io ho fatto per un po’ anche il cavaliere, facevamo delle gare lì intorno, attorno a Rimini. Poi abbiamo avuto cavalli più importanti, quindi abbiamo frequentato i professionisti.
Avete vinto dei premi?
Abbiamo vinto moltissimi premi. Abbiamo girato dappertutto. Ero sempre assieme a Vincenzo, all’inizio eravamo io, lui e Renzo, Renzo Pesco. Non so se vi hanno parlato di Renzo, è stato quello più vicino di tutti a Vincenzo in quel periodo. Poi si è ammalato di Aids ed è morto. È stato uno dei primi a San Patrignano ad ammalarsi di Aids. È entrata quella malattia maledetta a San Patrignano.
Poi c’è stato l’ospedale?
Poi c’è stato l’ospedale, ma è venuto dopo. La clinica. Io non c’ero già più. Nel’87 sono andato via, c’erano delle cose che non mi interessavano più e volevo crescere da solo. Non mi interessava più la Comunità. Volevo occuparmi di cavalli anche fuori, ho fatto una scuderia, l’Allevamento Romagnolo sempre qui a Rimini vicino San Patrignano, è mio. Non ho vinto come Vincenzo ma ci sono andato vicino, questo fino al 2005. Poi ho iniziato a lavorare con i Russi, un altro tipo di vita, facevo trasporti, spedizioni. Sono stato uno dei primi a Rimini, voli charter con la Russia dall’aeroporto di Rimini. Oggi non lo faccio più. Dopo l’embargo non l’ho più fatto.
Oggi cosa fai Giuseppe?
Oggi sono in pensione, ho lasciato il ristorante 2 mesi fa per questo lockdown, avevo aperto un ristorante romagnolo al Parco Pruccoli ma l’ho lasciato. In questo momento non sto facendo niente.

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Hai visto la serie Netflix?
No, non l’ho vista, non m’interessa. Ne ho sentito parlare. Mi avevano chiesto di fare l’intervista perché ero uno di quelli più vicini a Vincenzo, ma non mi interessava di farmi vedere in TV.
Cosa ti è rimasto di Vincenzo Muccioli?
Vincenzo è stato per me un padre, un fratello, un amico. San Patrignano la sento casa mia. Ancora oggi. L’unica cosa è che se tornassi indietro non avrei lasciato San Patrignano e magari l’allevamento sarebbe ancora là in piedi. Insieme abbiamo fatto moltissimo. È stata per me una grande esperienza positiva, bellissima, una delle più belle della mia vita. Eravamo un bel gruppo di ragazzi. Tanti ragazzi che oggi sento ancora, che sono fuori e che stanno bene.
Ricordi le ombre di San Patrignano, tipo il processo delle catene, il delitto Maranzano?
Era il mio periodo, io l’ho vissuto. In quel momento lì non c’erano altri modi, Vincenzo non sapeva niente di droga, voleva solo aiutare della gente. Pensa che inizialmente, non sapendo le conseguenze, lui ci dava anche dei soldi per uscire sabato e domenica, poi insieme abbiamo deciso che l’unico modo per rimanere veramente a San Patrignano era un altro, era quello, l’abbiamo deciso noi ragazzi e glielo abbiamo anche detto. 
Maranzano l’ho vissuto da fuori, è morto nel ’90. Lo stesso che dicono che ha ammazzato Maranzano seguiva anche me, Alfio Russo. Era un tipo un po’ manesco. Ci sono rimasto male, avevano portato il corpo lontano, non l’hanno denunciato subito. Ma non ho mai giudicato San Patrignano per questo. È stato un dispiacere enorme ma non mi sono sentito di giudicare. Io sono sempre stato lì, anche quando sono uscito. Quando sono uscito si è ammalato Renzo, eravamo come fratelli, ho seguito tutto il suo percorso fino a quando è morto. Poi si è ammalato Vincenzo e sono stato dietro anche a lui. Però ero fuori, avevo altri interessi. E quando ho sentito la notizia di Maranzano ci sono rimasto male ma non sono mai andato a fondo a cercare i colpevoli. Stavo già vivendo una vita parallela. Vincenzo già sapeva che per calmare la polemica Maranzano lui doveva uscire dal ruolo di San Patrignano.
Come se n’è andato Vincenzo?
Si è ammalato secondo me per stare troppo vicino a Renzo, ha preso la malattia per cui è morto Renzo. Ha fatto quello stesso percorso.
Intendi L’Aids?
Per me sì.
Ne avete mai parlato di questo?
No, neanche del delitto Maranzano abbiamo mai parlato, ma per me è l’ipotesi più probabile. Vincenzo se n’è andato via troppo velocemente.
Cosa hai provato quando è morto?
Ero al funerale. Moriva mio padre, andava via per sempre una parte di me.
Il tuo messaggio per lui oggi?
Ti voglio bene Vincenzo. (silenzio) E va bene così.

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