Letta non sa mollare Conte . Ecco perché il Pd non stacca la spina al M5S

Letta non sa mollare Conte . Ecco perché il Pd non stacca la spina al M5S

Il Pd di Enrico Letta, pur di vincere le elezioni amministrative, è pronto a fare i patti col diavolo. E per il diavolo si intende quel Movimento 5 Stelle che è ormai scomparso dai radar della politica italiana dal punto di vista elettorale. I sondaggi danno il partito guidato da Giuseppe Conte intorno ad un fantasioso 15%, ma nelle città più popolose andate al voto lo scorso fine settimana il crollo grillino è stato totale: sotto al 4,5% a Genova (la città del suo guru Beppe Grillo), Taranto e Messina; al 2% a La Spezia e Piacenza; sotto al 2% a Catanzaro, Padova, Pistoia, Lodi; addirittura sotto l’1% a L’Aquila.

A tenere il vita il Movimento, quindi, è rimasto solo Enrico Letta e il suo Pd che, in vista dei ballottaggi non nasconde la volontà di mantenere un filo diretto con i grillini: “[Nei 13 capoluoghi, NdR] abbiamo la concreta possibilità di eleggere 13 sindaci di cui 6 donne. Siamo allo sprint, ci concentriamo su questo, cercando di convincere tutti gli elettori, anche chi non ha votato per i nostri candidati – ha detto al Nazareno – Parlerò con tutti sia su territori che a livello nazionale, per convincerli dell’importanza che a vincere i ballottaggi sia il centrosinistra. Di campo largo e alleanze si parlerà dopo”.

È la classica strategia del tanto meglio tanto peggio della sinistra, che pur di sedere in poltrona accetta qualsiasi tipo di soluzione di compromesso nascondendo sotto il tappeto la polvere e rimandando al futuro problemi evidenti che, puntualmente, si manifestano una volta al governo. Tanto delle città quanto del Paese intero.

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A qualcuno però questa strategia non piace: Carlo Calenda. Il leader di Azione, forte di un pieno di consensi alle ultime amministrative, ha ribadito di voler tenere aperta la porta al dialogo coi dem, ma non con pentastellati: “Io non ho niente a che fare e non voglio avere niente a che fare con il Movimento 5 Stelle, perché non abbiamo niente in comune – ha detto a Quotidiano.net -. I risultati elettorali nei comuni nei quali ci siamo concentrati (L’Aquila, Palermo, Catanzaro, Alessandria, Parma) hanno dimostrato, con percentuali che vanno dal 13 al 21 per cento, che c’è uno spazio di elettorato riformista, pragmatico, moderato, che non vuole più scegliere tra due poli che non sono in grado di governare, perché hanno dentro tutto e il contrario di tutto”. Di più, Calenda ha ben presente che nel Partito Democratico ci siano intere correnti pro-grilline, meta-grilline o para-grilline e considera dunque il Pd un ostaggio del Movimento che conta sempre meno agli occhi degli italiani ma sempre più all’interno del primo partito di centrosinistra d’Italia: “Credo che ormai il Pd sia un partito a trazione grillina – prosegue Calenda -. Basta vedere anche come ha votato in Europa in materia di politica ambientale: sempre a favore di emendamenti che porterebbero alla chiusura del manifatturiero in Italia, dalle piastrelle alle auto. Per non parlare della giustizia: sono sempre più allineati al giustizialismo dei 5 Stelle”.

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E, va da sé, sempre meno allineati al progetto di Azione, con i vari Bettini, Zingaretti, Boccia etc. che non hanno mai nascosto un certo mal di pancia di fronte all’ipotesi di dover convergere con Azione in vista delle prossime regionali. Chi invece ingoierebbe il rospo volentieri è Matteo Renzi, col suo progetto, Italia Viva, sempre più destinato al naufragio. L’ex premier ha lanciato l’idea di fondare “un contenitore modello ‘Renew Europe'” che “può essere la casa di molti”. Renzi, intervistato da La Stampa, vede in Beppe Sala “una figura che può essere protagonista nella creazione di un terzo polo equidistante, che sarebbe numericamente più forte di uno schieramento alleato con il solo Pd”.

Con Sala, secondo Renzi, aderirebbero tanti amministratori locali riformisti e dovrebbe aderire anche l’amico-nemico Calenda: “L’accordo riformista serve a tutti, anche a Calenda. I candidati civici sono andati bene ma la lista di Azione da sola non va molto lontano”.
Anche in questo caso, però, il pomo della discordia sarebbero i grillini, visto che Renzi non ha messo alcun paletto al campo progressista che oltre al Partito democratico potrebbe e dovrebbe comprendere anche il M5S, o meglio, quello che ne resta: “La verità è che noi alle prossime elezioni ci saremo, loro no. Hanno trovato il modo migliore per rispettare il limite dei due mandati: andranno a casa tutti. E non credo che usciranno dalla maggioranza perché molti di loro dovrebbero tornare a lavorare e qualcuno dovrebbe buttarsi sul reddito di cittadinanza”.

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Il centrosinistra è come un grande pentolone che ribolle di personalismi. Per trovare una quadratura, secondo Letta servirà pazienza (“Ho diversi difetti ma un pregio, quello della pazienza. Credo che con pazienza questo lavoro [unire Conte, Renzi e Calenda, NdR] si farà”), ma la verità è che servirà un miracolo.

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