L’Inps fotografa l’Italia delle diseguaglianze: e meno male che c’è il reddito di cittadinanza

L’Inps fotografa l’Italia delle diseguaglianze: e meno male che c’è il reddito di cittadinanza

Se la volessimo buttare in satira, la sintesi del XXI rapporto annuale dell’Inps potrebbe essere questa: coraggio, il meglio è passato. Ma non c’è molto da ridere. Altro che rilancio, stiamo sempre peggio. Siamo più poveri e più precari. L’unico paese in Europa dove le retribuzioni sono diminuite rispetto a dieci anni fa (meno 2,9%) mentre le diseguaglianze sociali sono in vertiginoso aumento. Il 30% dei lavoratori ha oggi salari al di sotto dei nove euro lordi l’ora e uno su tre guadagna meno di mille euro al mese.  Mentre manager e dirigenti  vedono migliorare ancora le loro super retribuzioni, così come quel 10% di fortunati  che percepisce più di 3.400 euro al mese.  Non va molto meglio ai pensionati: il 40% ha un reddito lordo inferiore ai dodicimila euro l’anno. Ma i più penalizzati sono in assoluto le donne e i giovani.

Per tutti, poi, la prospettiva di un autunno-inverno durissimo. Con la guerra, la crisi energetica e l’inflazione che rischiano di mangiarsi buona parte dei duecento e passa miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che dovevano servire a farci rialzare dopo gli anni del Covid. 

E’ disarmante la fotografia dell’Inps sull’Italia del lavoro, soprattutto se raffrontata agli altri Paesi europei. Cominciando da salari e stipendi. Mentre da noi le retribuzioni arretrano, nei paesi baltici il reddito dei lavoratori negli ultimi 25 anni è più che triplicato, in Ungheria e Slovacchia è raddoppiato, e nell’ultimo decennio in Germania è aumentato del 33%, in Francia del 31, in Grecia del 30, in Portogallo del 13 e in Spagna del 6%. 

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Tra i 25,7 milioni di lavoratori attivi, il 10% degli assunti a tempo pieno guadagna meno di 1.495 euro, il 50% meno di 2.058 euro e solo il 10% ha livelli retributivi superiori a 3.399 euro lordi. La retribuzione media delle donne nel 2021 è risultata pari a 20.415 euro, inferiore del 25% rispetto alla corrispondente media maschile. Ma è soprattutto tra i contratti a termine, le partite Iva e i precari vari che dilaga la “povertà lavorativa”. Un fenomeno che in Italia è molto più marcato che negli altri Stati europei e che è alimentato dalla selva di contratti atipici, che sono ben 1.011 contro i 27 contratti collettivi nazionali che coprono il 78% dei dipendenti privati (10,2 milioni di lavoratori).

Secondo Eurostat, nel 2019, l’11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media europea del 9,2%. La percentuale di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora è del 28%, pari a 4,3 milioni di persone. La percentuale di part-time è al 46% tra le donne, il dato più alto nella UE, contro il 18% tra gli uomini, e la parte prevalente di questa tipologia è considerata involontaria. Tra i precari, il 23% percepisce paghe inferiori alla soglia del reddito di cittadinanza, che è di 780 euro al mese.  “Molti dei nuovi soggetti immessi nel mercato del lavoro – sottolinea l’Inps – sono impiegati per un numero ridotto di ore e percepiscono retribuzioni che non permettono ai singoli di vivere dignitosamente” .

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E meno male che il reddito di cittadinanza c’è. Nei primi 36 mesi di applicazione (aprile 2019-aprile 2022) ha raggiunto  4,8 milioni di persone, per un’erogazione totale di quasi 23 miliardi di euro. Il rapporto Inps smonta molte delle critiche strumentali a questa misura di sostegno alla povertà. Tra i percettori in età lavorativa, nell’anno 2021 il 20% (393mila persone) ha trovato un’occupazione. Un dato in lenta ma continua crescita, a dimostrazione che non c’è un incentivo ad uscire dal mercato del lavoro. Anzi, è proprio grazie al RdC che una parte cospicua di lavoratori poveri riesce a restare sul mercato con un reddito che permette loro di sopravvivere.

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Dicevamo anche dei pensionati. Nel 2021, il 40% ha percepito un reddito lordo inferiore ai mille euro al mese. Anche in questo caso le più penalizzate sono le donne. Rappresentano il 52% sul totale dei pensionati ma percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici, con un importo medio mensile inferiore del 37% a quello degli uomini. Al tempo del “governo dei migliori”, francamente, speravamo di essere messi meglio.

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