L’Italia dell’atletica batte i pregiudizi: sa correre e vincere, aiuta l’integrazione più degli altri sport

L’Italia dell’atletica batte i pregiudizi: sa correre e vincere, aiuta l’integrazione più degli altri sport

di Marco Bonarrigo

Un terzo dei cento azzurri di Monaco sono di seconda generazione: cittadinanza solo dopo i 18 anni. Crippa, i gemelli Zoghlami, Dosso e Khaddari: chi sono i nostri atleti

«Ma non sarà mica italiano, questo qui?». Settembre 1992: sui nostri giornali compare la foto di Ashraf Saber, oro nei 400 metri a ostacoli ai Mondiali giovanili di Seul, primo vincitore azzurro della storia in una rassegna dove si accesero le stelle di Boldon, El Guerrouj, Gebrselassie e Cathy Freeman. Grande, grosso e forte, Ashraf era sì italiano ma nero, nato a Roma da padre egiziano.

Una novità assoluta in un’atletica culturalmente impreparata a riceverla — i nostri africani erano Mennea e Antibo — che non venne metabolizzata subito. Trent’anni dopo, un terzo dei cento azzurri di Monaco sono italiani di seconda generazione. E metà di quelli più bravi (i finalisti) è nata nel nostro Paese da genitori stranieri o vi è arrivata in tenera età. Molti di loro — la legge non fa sconti — hanno dovuto aspettare i 18 anni per ottenere la cittadinanza e vestire la maglia azzurra. Per Crippa è stato facile, per i gemelli Zoghlami (2° e 7° nei 3000 siepi) e per tanti altri difficilissimo. A Catalin Tecuceanu, promettente ottocentista veneto travolto dall’emozione in batteria, il certificato è arrivato pochi mesi fa dopo tre anni di attesa.

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Il generale Vincenzo Parrinello ha arruolato centinaia di neo italiani nelle Fiamme Gialle. «Entrare in un gruppo sportivo militare con uno stipendio sicuro ma anche regole rigorose — spiega — è stato importante per stabilizzare ragazzi che spesso venivano da situazioni economiche precarie e avevano un’identità nazionale incerta. Mai un problema di integrazione, rari quelli di comportamento, enorme la voglia di ripagare i genitori dei sacrifici fatti».

All’esaltante bronzo della 4×100 azzurra femminile di ieri hanno contribuito in modo decisivo l’agente di polizia penitenziaria Zaynab Dosso, ivoriana fino al 2016, e la poliziotta Dalia Kaddari di papà marocchino e mamma sarda. In molti non si fermano all’atletica e all’Italia: Emmanuel Ihemeje, grande promessa del triplo, è cresciuto nella bergamasca da genitori nigeriani ma ora studia biologia e si allena in Oregon.

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È vero che i neo italiani sono più motivati degli altri? Per Monica Cavazzana, che nel padovano ha formato centinaia di talenti, è solo una mezza verità. «L’atletica è lo sport che integra meglio e meglio accoglie chi non ha possibilità economiche — spiega — perché il linguaggio della corsa, dei salti e dei lanci è universale e supera ogni differenza di lingua e reddito. Ma assieme ai neo italiani, oggi i più motivati sono ragazzi che potremmo chiamare culturalmente e socialmente evoluti, ispirati dalla forza semplice e pura di questo sport e dalle imprese di Jacobs e Tamberi. È un mix potentissimo».

22 agosto 2022 (modifica il 22 agosto 2022 | 07:28)

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