Massimo Ghini, non tutti sanno che faceva l’animatore con Fiorello

Il comico che fa ridere restando serio. Massimo Ghini è nato sotto un’altra stella: era l’animatore dei villaggi turistici con Rosario Fiorello. “Io facevo il capo animatore e Rosario il barman”. Da giovani non si guadagnava molto, e gli amici lo convinsero a tentare quell’esperienza. Così, sotto il sole, in quella divertente fatica ricompensata, ha imparato l’arte incommensurabile dell’improvvisazione. Il saper stare davanti ad un pubblico. “Se facevi l’animatore dovevi nasconderti”, ricorda Massimo Ghini, perché è sempre stato un mestiere da dilettanti, da impiegati di una sola stagione balneare.

Strehler lo prese poi per un provino portandolo a debuttare a Parigi. E a Vittorio Gassmann, che considera il suo maestro, deve la formazione teatrale, la recita da antologia; i tempi comici e l’arte della battuta, tra l’amicizia e stima del mattatore che lo facevano sentire considerato. E, grazie a Franco Zeffirelli, per lui in “Un tè con Mussolini“, il suo eccellente biglietto da visita internazionale, si fece conoscere all’estero, dove si aprirono per lui le porte. Anche la prima volta che andò a trovarlo nella sua villa a Positano, gli ha aperto la porta Gregory Peck. I fasti di un mondo dorato che aleggiava intorno al maestro fiorentino, omaggiato e venerato, erano davanti i suoi occhi. E gli ospiti onorati, non potevano mancare ad una festa a casa di Franco.

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Al ‘Massimo’ faccio l’attore

“C’è una visione ipocrita della sofferenza dell’attore. Non è una tragedia e non c’è la fatica di chi si alza all’alba per portare 30 kg al mercato. Ma è un mestiere in cui vivi le vite degli altri, che poi associ alle tue esperienze. E così alcuni momenti in scena sono molto forti, affronti qualcosa che conosci benissimo”. Un attore non vive solo di sogni, fa capire Massimo Ghini. Sarà un privilegiato, ma il suo mondo interiore che sfodera a secondo del ruolo, è fatto anche di malinconie. E Massimo è sempre il romanaccio che scalda la scena. La figura che ti fa la satira e la riflessione.

In una scena di un film, a una festa, Ghini è vestito da antico romano, nel ruolo di un ricco, spregiudicato pezzo grosso. Ricorda il disonesto industriale Lorenzo Santenocito di Gassman in “Nel nome del popolo italiano” di Dino Risi; o “La Congiuntura” di Scola, quando sempre Gassman interpretava il Principe Giuliano Maria che esportava soldi illegalmente all’estero. La pellicola in questione è “Non si ruba a casa dei ladri“, uno dei tanti ben riusciti cinepanettoni o qual si voglia filmetti leggeri. Ma, saggia quella sua bravura, di far riferimento alla casta dei corrotti e ai suoi scandali, alla corruzione dilagante, facendo ridere. Con quell’aria da romano, mai messa da parte. Espressione di una città dove il malaffare sembra faccia anche ridere, dove la risata alleggerisce la degenerazione. Potere tutto romano. E privilegio dell’attore che sa mescolarlo alla rappresentazione seria.

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Massimo, ghigno d’artista

Iniziava ad essere conosciuto, ma era ancora un attore di nicchia. Quando Carlo Verdone gli offrì la possibilità di un film pop, un successo anticipato. “Compagni di Scuola” porta alla memoria il cattivo e acido Mauro Valenzani. Quante volte andando al bar o al ristorante, qualcuno disse a Massimo Ghini che gli stava davvero antipatico in quelle vesti. Il cinico politico che chiedeva insinuando il motivo della rimpatriata a quindici anni dal diploma di liceo: “Scusa, ci potresti spiegare il perché di questa riunione?“. Ma in quella villa sull’Appia, dove fu girato il film, era come andare a una festa ogni giorno. Tanto affiatati da sembrare davvero compagni di classe.

Ha rischiato di diventare “un dipendente dei cinepanettoni”, tifoso del Palio di Siena e sostenitore della Contrada della Pantera, figlio di un partigiano, con gli assoli della chitarra di Jimi Hendrix nel cuore, sinceramente non rammaricato per tutti i premi che non gli hanno mai dato, ma, per noi Massimo Ghini, resta Ottavio Vianale: “maturo” fidanzato nella vacanza ai Caraibi della figlia di Christian De Sica. Ricco per finta, imbiondito in camicia hawaiana, spudoratamente col suo ‘ghigno’ romano.

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Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema. Seguici

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