Nelle parole di Montanini e nelle canzoni dei Leda un inno alla spudoratezza


Ho voglia di litigare con qualcuno. Di più, ho proprio voglia di menare le mani, come il Francesco De Gregori di Povero me, brano scritto a quattro mani col suo amico Mimmo Locasciulli, un cantautore che meriterebbe assai più attenzione di quanta nei fatti non abbia.

Voglio proprio menare le mani.

So che non è difficile, oggi come oggi, litigare con qualcuno, basta farsi un giro sui social, uno qualsiasi, e c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Sono talmente tanti i nervi scoperti, oggi, e sono soprattutto talmente tanti gli argomenti sensibili, quelli a forte rischio che basta uscirsene non dico con una frase realmente offensiva, ma anche solo con qualcosa a rischio anche minimo di politicamente scorretto, e ci si ritrova dritti dritti nell’occhio del ciclone. E per essere chiari una volta per tutta, nonostante certi film catastrofici ci abbiano indotto a pensare che chi sta nell’occhio del ciclone, durante una tempesta, è probabilmente quello che rischia meno, come chi in un quartiere viva sotto un ripetitore telefonico, per il principio dell’ombrello, nei fatti il ciclone si sposta velocemente, a differenza dei ripetitori, e chi si trova adesso nell’occhio tra un minuto finirà proiettato in aria, destinato a morte certa, come, con ogni buona probabilità, chi vive nei pressi di un ripetitore, vatti a fidare di chi parla di sicurezza, figli di puttana.

Potrei uscirmene, per dire, con una sparata contro i vegani, tanto Daniela Martani mi sembra di capire sia all’Isola dei famosi insieme a Paul Gascoigne, non guardo quei programmi lì, sì, sono uno snob, un radical chic, quei programmi mi sembrano davvero la quintessenza del trash e se posso mi tengo a debita distanza dal trash, quel che so a riguardo lo so dai social, che non mancano di farmi sapere anche le cose che non sarei poi così interessato a sapere, anche se Paul Gascoigne merita tutto il mio interesse, lo confesso, potrei quindi uscirmene con una sparata contro i Vegani, forte dell’assenza forzata di Daniela Martani, che da sempre si professa mia fan, e potrei dire che la cosa non depone a mio favore, ma farei una battuta facile e in assenza della diretta interessata, quindi me ne guardo bene, potrei fare una sparata contro i vegani, per altro siamo sotto Pasqua e in genere i vegani sotto Pasqua vanno letteralmente fuori di testa, immagino sia per il sovraccarico di lavoro, se ne stanno lì tutto il giorno a spammare sui social i video degli agnellini che vanno al macello, lasciando post agghiaccianti che, lo confesso, in chi non ha aderito al loro credo, parlo per me ma credo anche per buona parte dei non vegani, sortisce esattamente l’effetto opposto a quello voluto, vedi quel loro parlare di “mangiatore di cadaveri”, quel loro provare a rompere i coglioni, non bastasse la pandemia, il lavoro in crisi, le difficoltà della vita di tutti i giorni, e ti viene voglia di ordinare un supplemento di agnello per il pranzo della domenica, ché io non vengo a rompere il cazzo a voi che vi riempite di tofu e soia, non vedo perché dovreste farlo voi con me. Potrei farlo, ben sapendo chi di fondo l’idea di opporsi agli allevamenti intensivi, parte delle istanze vegane, è assolutamente condivisibile, ma il fatto di farlo in maniera così nazista e opprimente, peccato, porta sempre a fare il tifo per Amadori e compagnia bella, addirittura per il Cruciani che brandisce un salame nell’atri di Radio 24, seppur la sua improvvida fuga abbia in qualche modo rovinato una delle scene epiche più belle degli ultimi anni, sempre e comunque dalla parte di chi non caga il cazzo agli altri, in assenza di ragioni più che valide e soprattutto in assenza di tentativi reiterati di imporre un pensiero unico dominante, quale che sia.

Un po’ quello che potrei dire, e qui so che vado davvero a infilarmi in un cul de sac dal quale uscirò malconcio, le braccia piene di graffi, i lividi sui fianchi e sul dorso, rispetto alle neo femministe, penso a Michela Murgia, ma anche a tante altre. Tutta gente che dice cose legittime, o quantomeno molte cose legittime, ma che lo dice male, e se provi a fartelo notare ti accusa pure di mansplaining, quindi tira su un muro, ponendosi in una posizione di non confronto, anzi, di non confronto colpevolizzante, perché tu, che poi sarei io, sei un uomo bianco eterosessuale e borghese, pure di mezza età, quindi un privilegiato per nascita, il paragone col figlio di un mafioso è roba vera, non è l’invenzione di un tossico che si è fatto troppi acidi nel weekend e non è più tornato indietro.

Roba da farti ricredere su tante convinzioni che hai maturato negli anni, volendo anche riconoscendo una matrice fallata.

Per dire, leggo un qualsiasi editoriale a riguardo, e pur condividendo parte dei ragionamenti presenti, trovo talmente odiosi i modi da spingermi a correggere le note biografiche e sottolineare il mio ruolo di “mammo”, parola che solitamente induce in me, padre di quattro figli che, in quanto padre, non certo in quanto mammo, segue i propri figli, in comunione con mia moglie, lei sì mamma, una sorta di crisi simil-epilettica, ma che prende tutto un altro sapore al pensare che c’è gente che seriamente ritiene che siccome sono un uomo sono parte del problema, del patriarcato, anche quando è una vita che mi sbatto proprio per arginare il maschilismo del sistema nel quale opero, quello musicale, mi sbatto per altro senza uno straccio di sostegno proprio da parte di chi, in teoria, dovrebbe avere a cuore le stesse istanze, dovrebbe sbattersi a riguardo con ancora più vigore, mio Dio, vigore, una parola che tira in ballo l’uomo, sto di nuovo scivolando nel patriarcato, spero che le eroine di SheSaidSo non stiano preparando un pupazzo con le mie fattezze cui dare fuoco in pubblica piazza, non sono mica un Willie Peyote che infila una rima dentro la sua canzone sanremese e poi se la rimangia, no, quel che dico penso e lo ribadisco, ma in fondo starei pur sempre dalla stessa vostra parte, anzi, starei solo dalla vostra parte, non certo dalla mia, uomo bianco eterosessuale di mezza età borghese, potrei farmi i cazzi miei e campare cent’anni, tanto da quel che ho sempre fatto per il femminile non ho mai cavato fuori un euro, tenete almeno conto della buona volontà.

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E abbiate pietà di me, vi prego, in fondo non sono altro che un mammo.

Lo ribadisco.

Ciao, sono Michele, ho cinquantuno anni e sono un mammo.

No, non funziona.

Vegani e neofemministe, nei fatti, non sono quelli con cui voglio litigare, l’ho già fatto, e non mi piace troppo ripetermi. Non porta per altro proprio a niente farlo. Non mi reca alcuna soddisfazione, e neanche alcun beneficio. 

A tal proposito, immagino che a chiunque di voi la prima idea che sarà venuta in mente a riguardo del mio voler litigare, sempre che quel voi includa persone che leggono abitualmente quel che scrivo, o mediamente informate su quel che succede in genere nel mondo delle critiche musicali, è quella di scrivere qualcosa di provocatorio che tiri in ballo la folta lista di artisti coi quali, negli anni, ho avuto scazzi pesanti, o magari quelli coi cui fanclub ho avuto scazzi pesanti, categorie che in genere coincidono quasi con precisione assoluta. Non credo serva che io stia qui a citare Laura Pausini, Emma Marrone, Biagio Antonacci, Marco Mengoni, Nek, Fedez, J-Ax, Guè Pequeno, Sfera Ebbasta, Benji & Fede, quando Benji & Fede esistevano ancora come duo, Briga, Rocco Hunt, via via fino a personaggi decisamente minori quali Chiara Galiazzo, sì, ho avuto uno scazzo anche con Chiara Galiazzo, so che la cosa potrebbe destare una qualche meraviglia, c’è vita su Marte, Valerio Scanu e tanti tanti altri. Basterebbe costruire un pezzo neanche troppo complesso, il meccanismo di innesco di questi catfight è piuttosto semplice, a volte anche divertente, e poi aspettare.

Certo, ultimamente la faccenda si è un filo complicata, è girata una sorta di circolare che potremmo riassumere col titolo “non rispondete alle provocazioni”, cui molti hanno aderito pedissequamente, per cui ci si diverte meno, ma resta che i fanclub non seguono mai queste direttive, e qualche cretino con cui litigare lo trovi sempre, abboccano all’amo che è un piacere. Solo che si sono organizzati meglio, per cui, dai tempi del primo shit storming che ho subito, da parte delle Bestie di Emma, non capita volta che io non finisca in una di queste polemiche che i miei profili social non vengano attaccati in massa, spesso andando a pescare vecchi post o vecchi link condivisi, col risultato che vengo bloccato con una certa costanza, per questo ho dovuto creare i doppioni dei miei profili e per poter in qualche modo “sopravvivere” alle punizioni che gli algoritmi mi impongono.

Intendiamoci, non fingo di essere meno addentro al magico della comunicazione di quanto  non sia, so bene che essere quello cui i fanclub segnalano in massa i profili social contribuisce anche a consolidare un mio piccolo, neanche tanto piccolo, dai, non voglio fare l’ipocrita, fanclub, anche se di fanclub nello specifico non si tratta. È una questione antica, chi è sotto attacco è sempre difeso da coloro a cui chi attacca stanno sul culo, o magari a coloro che poco apprezzano le ingerenze da parte di terzi, il voler tappare la bocca, censurare o date voi la parola giusta a questo tipo di trattamento.

Mica è un mistero che, mentre i miei profili mi sono in qualche modo, interdetti, ma non sono interdetti a chi mi ha segnalato, come una fortezza conquistata dal nemico, dove il conquistatore può compiere ogni tipo di razzia indisturbato, coloro che prendono le mie parti arrivino in massa a difendermi, inscenando per altro la bizzarra situazione per cui gente che non conosco di persona si prodiga per spiegare a gente che non conosco di persona chi in realtà io sia, è il mondo dei social, baby, funziona così.

Ma nei fatti i benefici, l’aver consolidato un gruppo di persone che mi seguono e, all’occasione, sono disposte a perdere del tempo per difendere la mia onorabilità, fidelizzati fino alla morte, ecco, i benefici sono comunque meno dei disagi, il dover spiegare ai miei che no, non è una cosa grave essere bloccato sui social, o il dover trovare escamotage di varia natura per condividere il mio lavoro anche durante gli stalli, perché ovviamente a me i social servono per questo, professionalmente parlando, quasi nessuno ormai arriva ai testi scritti passando direttamente dai siti, passa tutto dai social, nuova forma di passaparola.

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Quindi, consapevole che infilarmi testa e piedi dentro una ennesima polemica con un o una artista potrebbe darmi modo di passare una giornata, non è passato molto che vi spiegavo la mia visione fightclubesca del mondo virtuale della rete, è pur vero che è altro quello che avevo in mente per oggi.

Qualcosa di un po’ meno scontato, meno facile da ottenere.

Non è un litigio tanto per litigare quello che cerco, mi basterebbe sparare a caso contro il governo, contro l’ex governo, dire qualcosa di anche poco chiaro contro i vaccini o a favore dei vaccini, tirare in ballo la dittatura sanitaria o a favore della didattica a distanza, toh, ecco, mi sarebbe sufficiente dire che trovo aberrante che in un momento come questo, con milioni di persone in evidente crisi economica, interi comparti professionali fermi da oltre un anno, le casse integrazioni, ci siano gli statali che continuano a prendere lo stipendio pur non facendo quasi nulla, soffermandomi sugli insegnanti, che prendono lo stipendio lavorando molto meno, e addirittura potendo accedere con corsia preferenziale al vaccino pur stando in casa, specie quelli universitari, un cui ritorno in presenza non è mai neanche stato vagamente preso in considerazione.

Potrei anche tirare in ballo Andrea Scanzi, e via, lasciare che le cose seguano il proprio corso. Ho anche già lo slogan pronto: l’idea di aver lavorato per quattro anni per lo stesso giornale per il quale scrive Andrea Scanzi, il giornale che nel tempo è diventato la house organ di Conte e soci, mi mette molto disagio, si apra dibattito.

Ma non mi piace vincere facile, e più che altro, so che a questo punto potrebbe suonare strano, ho in mente un discorso preciso che vorrei portare avanti oggi, mascherato da me che cerco la lite in rete.

Vorrei più che altro provare a oltrepassare il confine che ci separa dal poter affrontare temi anche importanti usando un linguaggio libero, che possa cioè spaziare anche in terreni minati, perché il linguaggio, credo, non dovrebbe mai avere paletti e costrizioni, se limiti il linguaggio limiti il pensiero, che al linguaggio è legato a doppio filo, e io vorrei poter pensare un po’ il cazzo che mi pare.

È vero, esiste il buon gusto, e il buon senso, ma non necessariamente chi segue i dettami del buon gusto è portatore di istanze meritorie, scandalizzare a volte è un dovere morale, una necessità proprio al fine discorsivo e narrativo, ingabbiare un ragionamento dentro regolette pensate da chi oggi ha un tale potere da determinare quello che appare come un pensiero unico dominante è contro ogni logica, forse anche contro natura, come metterselo in culo a vicenda.

Scandalizzare, portare al limite un discorso per sottolineare ipocrisie e debolezze su impianti teorici, giocare con il politicamente corretto, o meglio, il politicamente scorretto è stato per anni uno sport che ha permesso di dire che il re era nudo evitando di venir dati in pasto ai cani, o di venir murati vivi nella torre, ma ultimamente sembra che il vento sia cambiato.

Un po’ come è capitato all’ironia nel momento in cui l’ipermodernismo ha soppiantato il postmoderno, come se di colpo provare a superare l’incredibile incoerenza del credere fermamente che il progresso e il capitalismo fossero basi solide su cui costruire case in grado di reggere alle intemperie giocandoci su, ridendone, fosse diventato inaccettabile, via tutti a stigmatizzarla, l’ironia, a parlare di sincerità di verità, come se il postmoderno la rifuggisse, la verità, invece che provare a darne una versione credibile, attuale, oggi sta capitando al politicamente corretto, sommerso dalle critiche di chi spinge per un pensiero unico, certo non dittatoriale nei contenuti, spesso la cancel culture ha aspirazioni nobili, quasi sempre, ma che finisce per sfociare in qualcosa che col dittatoriale ha molto a che spartire, è tutto un “questo non si può dire” e “questo non si può fare”.

Mi viene in mente uno dei monologhi di Giorgio Montanini, stand-up comedian che, immagino, per quelli del politicamente corretto a tutti i costi apparirà come una sorta di Anticristo, nel quale, parlando della difesa legittima e planetaria che arrivò a sostegno di Charlie Hebdo subito dopo l’attacco omicida dei terroristi islamici, nel gennaio del 2015, tutti a dire “Je Suis Charlie”, per altro situazione durata davvero poco, sono bastate alcune uscite alla Charlie Hebdo di Charlie Hebdo, penso alle vignette sul terremoto di Amatrice, per farli subito tornare tra gli “impresentabili”, comunque, Montanini, parlando della campagna “Je Suis Charlie” partita a gennaio 2015, sosteneva che per dimostrarne la non ipocrisia, o quantomeno la veridicità, sarebbe stato necessario che chiunque fosse per il politicamente scorretto, per il diritto di poter dire quel che si vuole senza censure, almeno mettesse in pratica nella propria vita quotidiana lo stesso modo di comportarsi, coerentemente liberi di prendere a calci in culo le regole sociali che stabiliscono cosa si possa o non si possa dire.

Faceva questi esempi, Montanini, uno che non ci va certo giù leggero, chiunque dica “Je Suis Charlie” domani dovrebbe andare in ufficio, se è impiegato, e dire al proprio capo che è una testa di cazzo, che se l’ufficio funziona è grazie a chi si fa il mazzo davanti al computer, e che quindi sfogare le proprie frustrazioni sui propri sottoposti è qualcosa di vergognoso, salvo poi mandarlo a fare in culo e licenziarsi. Oppure, altro esempio ancora più preciso, chiunque sia dell’idea che sempre e comunque “Je Suis Charlie”, dovrebbe entrare in un bar, ordinare una colazione completa, caffè, cornetto, bicchiere d’acqua fresca, e poi, lì seduto a un tavolo, il Covid ancora non era neanche ipotizzabile, il monologo è appunto del 2015, lo trovate facilmente in rete, dovrebbe cagarsi addosso. Un gesto scandaloso, che sulle prime scioccherebbe tutti gli altri avventori del bar, ma che presto sortirebbe, questo sosteneva Montanini, l’effetto inverso, quello dell’invidia, perché l’essere liberi, anche se ci si è appena cagati addosso in un bar, è qualcosa di unico, cui tutti vorremmo ambire, salvo poi alzarsi imbarazzati dal proprio tavolo, al bar, e dire a chi sta con noi, scusate, devo andare a sciacquarmi le mani e correre verso il bagno, nella speranza che non sia occupato.

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Chiaramente Montanini, da stand-up comedian di razza, gioca la carta della provocazione, dell’osceno, per veicolare la stigmatizzazione di certa ipocrisia un tot al chilo, indignazione pret-a-porter, e per altro inserendo nel medesimo discorso riferimenti alti, il parla della catarsi del teatro, partendo da quello greco, sottolineando come nelle tragedie succedessero cose che oggi, con buona pace dell’arte, sarebbero assolutamente messe al bando, pensate alle storie di Medea e di Edipo, tanto per fare i suoi stessi esempi. Questa cosa di partire dall’alto, mischiandolo con un accento spiccatamente marchigiano, cafone, e infarcendo il tutto di volgarità e racconti osceni, fuori dal comune senso del pudore, è una cifra tipica di Montanini, spesso eccessivo anche per il pubblico così avvezzo alle provocazioni della stand-up comedia, ma è una cifra che io ritengo dovrebbe essere difesa col coltello e coi denti, altro che mettere al bando.

Ecco, credo che il punto del discorso, quello che andavo cercando oggi, più che litigare con qualcuno, questo succederà comunque, siamo tutti sotto pressione, babay, era proprio questo, la ricerca di oscenità, di scandalo, certo, ma più che altro di spudoratezza. Non per un’ossessione, o per un tic, ma perché mai come in questi giorni imballati, tutti uguali, tutti figli di un inreggimentamento coatto, nessun tipo di reazione è prevista e consentita, o sei con noi o contro di noi, credo che creare scandalo, spogliarsi del senso del pudore, essere in qualche modo osceni sia necessario.

E siccome io da queste parti parlo di musica, è noto, e anche se non può sembrare di musica ho parlato a mio modo anche fin qui, oggi, ci terrei a dire che ho avuto il privilegio giorni fa di ascoltare un lavoro di una band che molto apprezzo, e che risponde alla perfezione all’idea di spudoratezza di cui parlavo. Ho ascoltato infatti il nuovo lavoro dei Leda, band marchigiana nata intorno, è proprio il caso di dirlo, alla voce e al talento di Serena Abrami. Nelle nuove canzoni del loro secondo album, per ora presentata in una diretta social in anteprima e in attesa di vedere la luce ho sentito la solitamente cristallina e eterea voce di Serena farsi tangibile, fisica, spudorata, appunto, come fisica e tangibile è diventata la sua poetica, la loro poetica, i Leda sono una band, ma è indubbio che in questo lavoro ancor più che nell’album d’esordio Memorie dal futuro, del 2019, la sua posizione al centro di quel gruppo si fa preponderante, la sua voce diventa potente, come un abbraccio caloroso che ci si dà tra amici che non si vedono da lungo tempo, come chi vuole provare a fermare con la propria forza qualcosa o qualcuno di pericoloso. Si è messa a nudo, Serena Abrami in queste canzoni, mostrandoci la propria visione del mondo, così, senza filtri e senza pudori. Nuda come forse solo una voce può diventare, se chi la possiede è in grado di usarla, e se ha volontà di usarla. Curioso che Serena sia di Civitanova Marche, a pochi chilometri da Fermo, città che ha dato i natali a Montanini. Modi assai diversi di intendere la spudoratezza, in apparenza, ma forse è solo una questione di grana della voce, di cifra stilistica, di provare a far cadere in modo diverso il velo del tempio, una nota alla volta, una parola alla volta.

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