Ha esordito lo scorso 6 marzo Noi, il remake italiano di This Is Us targato Cattleya e Rai Fiction. La saga famigliare dei Pearson, che per l’occasione diventano i Peirò, ha suscitato le più svariate critiche da parte dei fedelissimi della serie originale. Dal provocativo “ce n’era bisogno?” al più classico “meglio quella americana”, il pubblico di This Is Us si domanda quale sia la logica dietro la scelta di proporre una versione italiana della serie, anziché trasmettere quella americana in prima serata su Rai 1.
In molti non si rendono conto che la necessità di family drama, genere che più di tutti è in grado di intercettare i gusti del pubblico italiano in questo momento storico, porta gli emittenti e le case di produzioni a puntare su format già collaudati a livello internazionale, anziché scommettere su nuovi talenti autoriali del nostro panorama che potrebbero proporre storie inedite.
Torniamo a Noi. Apprezziamo senz’altro la voglia di raccogliere una sfida non indifferente: quella di adattare una storia fortemente americana come quella di This Is Us riproponendola in salsa italiana. Ci sono i Mondiali, Pittsburgh che diventa Torino: gli sceneggiatori di Noi dimostrano di aver colto alla perfezione gli elementi necessari per tradurre in maniera vincente la quintessenza statunitense del format originale in un linguaggio apprezzabile dal pubblico generalista di Rai 1.
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Non c’è da stupirsene. Del resto, Cattleya e Rai Fiction avevano già adattato un altro illustre family drama trasmesso da NBC. La fiction Tutto può succedere altri non era che la versione italiana di Parenthood con Lauren Graham. Quest’ultima non è mai stata una serie capace di conquistare il pubblico italiano come ha invece fatto This Is Us. Sarà senz’altro per questa ragione (e per il fatto che, al tempo, le serie tv non erano facilmente accessibili tramite lo streaming quanto non lo siano oggi) che allora non vi fu alcuna alzata di scudi da parte dei fan italiani di Parenthood.

Alcuni elementi, tuttavia, lasciano perplessi. Come per esempio di rendere Betta, la moglie di Daniele, una donna bianca. Il personaggio di Beth interpretato da Susan Kelechi Watson è nera come Randall (alias Sterling K. Brown). In conferenza stampa il regista Luca Ribuoli ha spiegato le ragioni di questa decisione. Sarebbe stata una bella opportunità per raccontare una coppia nera italiana e portarla in prima serata, anche se il casting di Betta non diminuisce l’importanza di avere un attore come Livio Kone nel ruolo ruolo di protagonista in una fiction destinata al pubblico generalista (nel palinsesto Rai tornerà anche Miguel Gobbo Diaz con la terza stagione di Nero a Metà dal 4 aprile).
Restiamo sul casting. Lino Guanciale – una garanzia delle fiction Rai – e la rivelazione Claudia Marsicano rubano la scena in ogni sequenza che li vede protagonisti. Lo stesso effetto sortisce il make-up di Rebecca (Aurora Ruffino) nella sua versione anziana, ma non per le ragioni desiderate. Ruffino è più che convincente nel ruolo che è di Mandy Moore, pertanto riteniamo che i paragoni tra le due siano superflui e non aggiungano molto alla conversazione sui due prodotti.
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Al di là di aspetti sui quali, a parere di chi scrive, si sarebbe senz’altro potuto aggiustare il tiro, Noi non è un prodotto da bocciare. Quantomeno, non può essere costantemente paragonato a This Is Us. In primis perché reggere il peso del confronto è un onere che non può né deve spettare ad alcun remake in quanto quest’ultimo è un progetto che nasce, per l’appunto, come rifacimento di un format preesistente. Ribadirne le somiglianze, o peggio, gli elementi che differiscono tra le due versioni e additarli come peggiorativi rispetto all’originale non è produttivo né edificante.
Noi può non piacere ai fan di This Is Us, così come esiste un pubblico che conosce soltanto la storia dei Peirò e potrebbe non essere interessato a quella dei Pearson americani. Entrambe le posizioni sono valide e legittime. Denota inoltre un certo pressapochismo televisivo la facilità con cui si suggerisce di mandare in onda l’americano This Is Us al posto di Noi su Rai 1, come se il pubblico generalista americano fosse uguale a quello italiano.
Questo è il punto. Noi e This Is Us nascono per rispondere ad esigenze, di rete, di palinsesto e di spettatori molto diverse. Ad unirle, di fatto, è soltanto la forza narrativa della saga famigliare di Pearson o Peirò che dir si voglia. Anziché criticare il concetto in sé di remake, sarebbe da chiedere ai direttori di rete se manchi la voglia di osare puntando su autori e autrici italiani, anziché permutare format esteri.
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Oltre a Noi, soltanto in queste settimane sono andati in onda altri tre adattamenti: stiamo parlando Vostro Onore (remake dell’israeliano Your Honor), Studio Battaglia (rifacimento dell’inglese The Split) e Destini in fiamme (dalla francese Le Bazar de la Charité). Di certo i talenti non ci mancano. Il coraggio di uscire dal tracciato di cosa ha funzionato bene altrove, forse quello sì.
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