Non solo il sostegno a Draghi. Dai vaccini ai poteri per Roma: se la Lega l’opposto della Liga

Non solo il sostegno a Draghi. Dai vaccini ai poteri per Roma: se la Lega l’opposto della Liga

Luca Zaia e Matteo Salvini insieme a Conselve: era l’agosto 2019
Luca Zaia e Matteo Salvini insieme a Conselve: era l’agosto 2019

Non sono semplici incomprensioni, quelle fra la Liga veneta e la Lega di Salvini.Sono proprio punti di vista diversi. Il dialogo fra Roma e Venezia è costante, il territorio viene coinvolto in riunioni e videocall, la segreteria federale ascolta il Veneto, ma alla fine decide da sola, ignorando proposte e posizioni autorevoli, e le distanze aumentano creando imbarazzi e tanta rabbia. Saranno anche normali le spaccature, come dice il presidente della Regione Luca Zaia («esistono dal Vaticano in giù», per la precisione), ma la Liga si è dovuta ingoiare più di qualche rospo negli ultimi anni. Smentita, inascoltata, accantonata.


L’appoggio al premier

La mancata fiducia al governo Draghi, auspicata dal governatore e dai suoi maggiorenti in Regione oltre che dalle imprese del territorio, è solo l’ultimo di una serie di colpi bassi che hanno dato al Veneto l’impressione di contare poco o niente al momento delle scelte cruciali: Zaia si era speso fra i primi a favore del premier, invocando responsabilità e continuità, in un ostinato pressing su Salvini perché confermasse l’esecutivo. Pressioni del tutto infruttuose, col senno di poi: la sfiducia è arrivata mercoledì. Fra Lega veneta e nazionale non c’era stata convergenza nemmeno sull’elezione del presidente della Repubblica, con i governatori sentiti a più riprese ma tenuti del tutto al di fuori della partita. Le candidature fallite e la debacle avevano messo in grossa difficoltà il partito e la sua classe dirigente che in Veneto cerca di dimostrare polso e decisionismo e a Roma diventa ininfluente.

Covid e sanità: idee e condotte opposte

Anche la pandemia ha lasciato un solco profondo. Zaia ha fatto delle politiche sanitarie anti-Covid il punto centrale degli ultimi due anni

: il sostegno alla campagna vaccinale, l’impegno sull’uso della mascherina e sul green pass per contenere i contagi, rigoroso nel rispetto delle regole e allineato alle politiche ministeriali. Lo stesso partito, a livello nazionale, era invece rappresentato da un Matteo Salvini in direzione contraria, spesso senza mascherina, tentennante sulle vaccinazioni, ostile al certificato verde, con una strizzata d’occhio al mondo no-vax (che invece Zaia ha sempre osteggiato). Di riflesso, parlamentari titubanti sugli obblighi sanitari e consiglieri e assessori regionali in prima fila contro la pandemia.

L’autonomia «congelata»

Molto concreta è anche la delusione del Veneto sull’autonomia, sparita dall’agenda governativa nonostante sia la priorità assoluta dei leghisti «regionali»: tanti tavoli, due governi con esponenti leghisti, e ancora niente. Ad aprile, oltre il danno la beffa, quando la commissione Affari istituzionali ha approvato all’unanimità (compresi due leghisti veneti) l’attribuzione di poteri legislativi speciali a Roma Capitale: autonomia a Roma, non a Venezia. In Veneto è stato vissuto come un affronto, dopo anni di attesa e un referendum. Per non parlare del Reddito di cittadinanza: al nord il compromesso non è mai stato digerito.

I sindaci e le candidature

Poco condivise con il territorio sono state anche le candidature a sindaco di Padova e Verona (sfociate in due cocenti sconfitte), entrambe con forte pressione di esponenti parlamentari. Il Veneto sembra contare sempre meno, nonostante sia la regione in cui il Carroccio gode (godeva?) dei maggiori consensi. E se nella compilazione delle liste elettorali le cose andranno come alle politiche del 2018 e alle europee del 2019, ci sarà poco spazio per gli uomini del governatore, mentre i salviniani Doc si prenderanno i posti più appetibili e sicuri. Il «peccato originale» sembra annidarsi nella «Lega per Salvini Premier», che ha annacquato l’essenza stessa del partito allargandolo al sud, con grande scorno del Veneto. Ogni voce contraria viene minacciata di espulsione. Così nascono le correnti, il dissenso interno, le cene per ricostruire il partito dal basso. Ma c’è un dato di fatto: dopo la sfiducia al governo Draghi sono stati solo i ministri di Forza Italia a lasciare il partito. Nonostante le divergenze, le distanze e le delusioni, la Liga rimane fedele.

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23 luglio 2022 (modifica il 23 luglio 2022 | 19:29)

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