Per battere l’inflazione serve l’Unione fiscale europea- Corriere.it

Per battere l’inflazione serve l’Unione fiscale europea- Corriere.it

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Tornati a pensare al mondo come fosse raffigurato in mappe medievali — tra nuovi confini, fronti e aree d’influenza — fatichiamo non poco a comprendere gli effetti delle politiche monetarie delle banche centrali. Forse perch il paragone pi semplice quello con gli anni Settanta, in piena Guerra Fredda, con le crisi petrolifere, l’esplosione del costo dell’energia e dei prezzi fuori controllo. La globalizzazione tutt’altro che in ritirata, i mercati finanziari non si sono d’improvviso regionalizzati, seguendo le derive della contrapposizione politica e militare. Dunque, ritenere che le scelte della Federal Reserve e della Bce — nella lotta all’inflazione certo diversa tra Stati Uniti e Unione europea ma non pi come un tempo — possano procedere su binari paralleli, comodo ma illusorio. La frammentazione della geopolitica non riduce l’interconnessione dei mercati finanziari. Ma noi siamo indotti a crederlo forse perch troppo condizionati dalle variabili politiche.

Il nuovo governo

L’avvento di un governo di destra-centro, come quello ai primi passi di Giorgia Meloni, non allenta n spezza i legami con i mercati, ovvero con il demone assoluto della propaganda sovranista. Ci si adatta, si fa buon viso a cattive regole che si vorrebbero s cambiare ma con rapporti di forza del tutto immaginari. E l’esordio della premier in Europa (siamo andati a chiedere flessibilit sui bilanci come da copione) l a dimostrarlo. Un atteggiamento analogo, seppure di segno contrario, lo possiamo riscontrare anche nei nostri tradizionali partner europei, in particolare Francia e Germania. Chi deve fronteggiare le spinte, diciamo cos confederali, di alcuni membri dell’Unione europea, con lo sguardo preoccupato ai propri movimenti estremisti interni, tende fatalmente a sottovalutare molte delle implicazioni della lotta all’inflazione. Non solo una questione di indici dei prezzi alla produzione e al consumo.

Le valute

L’inflazione, oltre al rallentamento economico, potrebbe persino incentivare la voglia, per qualche Paese dell’Unione monetaria — e non necessariamente i pi deboli — di ritornare alla valuta nazionale. Ovviamente, stiamo parlando di un’ipotesi remota, estrema, quasi al limite della fantaeconomia. Averne coscienza non utile solo per scongiurarla, ma anche per far crescere la consapevolezza delle misure necessarie, e non pi rinviabili, per aumentare il grado di coesione dell’Unione europea nel suo complesso.

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Russia e Cina

La Russia tifa per la disgregazione europea; la Cina preferisce trattare con i principali membri, anche per dividerli, come ha fatto per esempio con lo sciagurato accordo sulla via della Seta del Conte 1; i nostri alleati americani non sono mai stati entusiasti dell’Unione e hanno trasmesso un sostanziale euroscetticismo ai Paesi dell’Est, beneficiari irriconoscenti e partner malmostosi. Perch esiste questo rischio? L’area dell’Euro solo un’area valutaria cui non corrisponde un’unione fiscale.

Le asimmetrie

Le nazioni — usiamo il termine preferito da Meloni — che hanno adottato la moneta comune hanno conservato a livello locale le decisioni che riguardano i loro bilanci pur privandosi, contemporaneamente, della politica monetaria. Questa rinuncia, in presenza di uno choc negativo sull’economia, pu rivelarsi gravosa, insostenibile. L’inflazione, pur riguardando tutti i membri dell’area dell’Euro, presenta delle asimmetrie. In alcuni pi elevata che in altri. Per esempio, Germania e Francia, dal dicembre del 2020, hanno sperimentato una forte divergenza nell’andamento dei prezzi.

La spirale dei prezzi

A Berlino i prezzi sono cresciuti pi che a Parigi dove i costi dell’energia sono temperati dalla scelta, pur tra tante difficolt, dell’opzione nucleare. In particolare, in Germania, nel solo ultimo anno, tra settembre 2022 e settembre 2021, l’indice dei prezzi al consumo aumentato dell’11,12%, mentre in Francia aumentato del 6,38%. Una possibile spiegazione la si ritrova nella variazione dell’indice dei soli beni energetici che aumentato del 44,23% in Germania e del 18,75% in Francia. Ci si traduce in un vantaggio di competitivit delle aziende francesi rispetto a quelle tedesche (chi lo avrebbe mai detto soltanto qualche anno fa!). Se questo vantaggio diventasse sistematico e permanente, si creerebbe a lungo andare un avanzo delle partite correnti in Francia e un disavanzo in Germania. Per finanziare questo disavanzo, i tedeschi dovrebbero trasferire ogni anno attivit finanziarie ai francesi.

Scholz e Macron

Le difficolt di dialogo fra il cancelliere Olaf Scholz e il presidente Emmanuel Macron scontano anche questo non tanto malcelato retropensiero. Con il passare degli anni e la persistenza dello squilibrio, le attivit finanziarie detenute dalla Francia tenderebbero ad aumentare senza limite. Un curioso — e del tutto ipotetico, lo ripetiamo — scenario ribaltato rispetto agli anni Settanta quando il marco si apprezzava (molto) sulla lira e il franco francese faticava a tenerne il passo. Se esistesse ancora la moneta tedesca (il cui abbandono, lo ricordiamo, fu merce di scambio per la riunificazione), il tasso di cambio nominale permetterebbe di riequilibrare, almeno momentaneamente, le partite correnti, rendendo pi cari, in Germania, i beni prodotti in Francia e viceversa. Poich, in mancanza di due differenti valute, lo strumento del tasso di cambio ovviamente precluso, come possibile correggere questo squilibrio?

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Sovranismi e potere d’acquisto

Sovranismi e nazionalismi sono stati alimentati anche da queste svalutazioni cosiddette interne, cio avvenute con la perdita silenziosa del potere d’acquisto di salari e stipendi. Francia e Germania sono solo un esempio che serve per comprendere come qualsiasi Paese che abbia adottato l’euro, in presenza di tassi d’inflazione sistematicamente diversi da quelli di altri membri, perda competitivit e possa trovare conveniente — almeno in apparenza — riappropriarsi di un’autonoma politica del tasso di cambio.

La via d’uscita

Quale potrebbe essere allora l’alternativa, anche per non rinfocolare oltre misura istanze sovraniste e nazionaliste? Il paradosso che non esiste momento pi propizio di quello attuale per spingere a favore di un’unione fiscale. Un’opzione che non mai stata — a maggior ragione con un governo di destra-centro come quello attuale italiano— cos lontana e mai, nello stesso tempo, cos necessaria.
*Ordinario di Econometria Finanziaria
Universit Cattolica del Sacro Cuore

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