Porca putténa insidia la salvaguardia dei minori e delle loro famiglie, i corsi gender a sei anni vanno bene: che resta da capire?

Madonna Benedètta, quant’è bello vivere in un Paese da commedia all’italiana. Gente come Speranza al potere, l’opposizione di governo tortellona di Salvini, i virologi che più le snagliano e più provocano e frignano, i comici fuori di testa che fondano sette, le sardine che fanno carriera. Tutta una cosa meravigliosa, fantasmagorica, per non dire “una stronzèta generale” e ogni giorno la realtà ci supera: ieri il rettore dell’università di Trieste che impone il green pass pure per gli esami sostenuti a casa, domani chissà che altro, oggi il Moige, lagnoso già dal nome, che si scaglia eroicamente contro la pubblicità della Tim con Lino Banfi che dice “porca puttèna”. Il Moige sarebbe uno dei tanti enti inutili o associazioni sulle quali si regge l’Italia dei balocchi e trova inaccettabile una pubblicità innocente: al che la Tim, che è un colosso, peraltro in mani francesi, immediatamente congela lo spot. Però tranquilli, non c’entra niente la vibrante protesta dei Moige, era già tutto previsto: si vede che sono le sincronicità junghiane.
Nell’epoca delle cazzate come stile di vita, tocca sempre dar segni di sé per non sparire. Il porca putténa è un modo di dire, completamente deprivato di qualsiasi accezione volgare o addirittura oscena, i ragazzini oggi si esprimono in modi assai più coloriti, ma un conto è la realtà, che non interessa a nessuno, un altro la neolingua del politicamente corretto che è pura ipocrisia, è tutta posa e come tale l’unica cosa che conta. Porca putténa insidia la salvaguardia dei minori e delle loro famiglie, i corsi gender a sei anni vanno bene: che resta da capire?
Non sembra che questo movimento “apolitico, aconfessionale”, ma, secondo alcuni, piuttosto bigotto, con le sue battaglie abbia arginato granché circa la deriva dei comportamenti giovanili, ma lo scopo mica è questo, lo scopo è agitarsi, porsi come presenza che, si diceva negli anni Settanta, si “dialettizza” con le istituzioni. Cioè vuol contare, vuol fare politica da una posizione di potere. A forza di dialettizzarsi, si ciancia molto ma si risolve niente e crescono le occasioni di ridicolo: un Paese da oggi le comiche. Dal che si capisce quanto siamo stati fortunati noi boomer, nati e cresciuti negli anni Sessanta, a poterci ancora godere la vita normale e sanamente stravaccata delle canzoni sboccate, dell’umorismo cinico e di qualche film pecoreccio, senza pretese, rimasto però nel nostro immaginario. Ci fosse stato allora l’imprescindibile Moige, niente presidi, bidelli e scolaresche “ingrifète, porca putténa”, niente Oronzo Canà allenatore nel pallone, niente scenette memorabili e modi di dire, niente burle feroci di Amici Miei, “O bu’ajola, tu mi tradisci, tu dici vengo e invece tu pisci”. Un bianco totale, anodino, sterilizzato, senza umorismo come le menti dei ragazzini oggi, o almeno questo è l’obiettivo. E non solo per i ragazzini. Un mondo tutto inginocchiamenti, Grete, metoo, anziane che si ricordano delle rockstar che le avrebbero insidiate a 12 anni, anche se quella volta stavano da tutt’altra parte. Un mondo evirato dell’ironia, della musica, della spontaneità, della vita. Dove ogni gesto, ogni parola è fanaticamente soppesata, giudicata, censurata. Poi diciamo dei talebani a Kabul.
Un mondo dove i contraccolpi sono micidiali. Dove tale Spencer Elden, il neonato subacqueo della copertina di Nevermind dei Nirvana, trent’anni dopo fa causa perché si sente retrospettivamente stuprato, “al limite del child porn”, della pedofilia. E che cosa vuole per riparare la verginità fotografica prematuramente perduta? Poco, centomila dollari e passa la paura. Peccato solo che cinque anni fa non si fosse fatto scrupolo di autocelebrarsi per lo stesso motivo, il bebé in quella copertina ero io, proprio io, e giù a cercare visibilità. Si vede che il trauma gli è salito all’improvviso, come ad Asia Argento. Come finirà questo Spencer? Facile, in qualche reality dove per settimane si mostrerà a culo di fuori dietro un compenso umiliante. E magari ci spiegherà che lo ha fatto per restaurare il vissuto. Trovate penose, che tuttavia vengono prese sul serio e accendono dibattiti: perché siamo una società di disgraziéti maledétti che hanno perso il senso del ridicolo, della decenza e anche della logica.
C’è una regola sociologica: posto un precedente, non potrà che peggiorare. Quanto a dire che non possediamo gli anticorpi per recedere dalle nostre follie, siamo destinati a superarle sempre in una infernale corsa verso il record di stupidità. E la stupidità alimenta la censura, l’intolleranza, è contagiosa come lo è l’esaltazione dei matti. Fosse stato ancora un mondo umano, Tim avrebbe dovuto fare una sola cosa: reagire mandando la scena di Lino Banfi che canta Filomegna: “Filomegna, my hermosa, t’hanno vista anche a Canosa, Filomegna donde sta, cosa fa? Filomegna… fa la puttegna!”. Invece la company si è calata le braghe e il Moige può dire: avete visto, abbiamo vinto, siamo potenti e tutti debbono fare i conti con noi. Ma sono solo coincidenze, che andate a pensare. Dall’altra parte si sentono cose deliranti, un sindacalista va in televisione a invocare le cannonate di Bava Beccaris per i “novax”, un professore piddino sputa sulle foibe che furono uno dei massacri più crudeli nella storia dannata dell’umanità, un deputato di Sinistra Italiana può scrivere serenamente che fu giusto ammazzare a migliaia i fascisti, cioè tutti quelli che lui considera tali, e sarebbe giusto rifarlo. Ma qui nessun Moige si muove, nessuna Commissione Segre, nessun organismo di controllo, nessun Presidente. La democrazia è come la legge, che, insegnava a chi scrive un procuratore della Repubblica, “è come la pelle dei coglioni: va dove la tiri”.

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