“Progressisti” senza diritti civili

Si dice che destra e sinistra si distinguano per i diritti civili, ma di fronte all’aggressivo richiamo di Meloni ai valori della famiglia tradizionale Pd e M5S non danno al matrimonio egualitario nemmeno la dignità di una vacua promessa elettorale

Con lo scioglimento delle Camere, ha avuto fine anche il travagliato percorso del Ddl contro l’omotransfobia. Dopo molti balletti e rimpalli di responsabilità, i cosiddetti «partiti amici» del movimento Lgbtiq+ (Pd e M5S) hanno nuovamente negato protezione e prevenzione contro la discriminazione alle persone trans e omosessuali. 

Al contrario, nel resto d’Europa i diritti Lgbtiq+ continuano a espandersi. Ad esempio, dallo scorso 1° luglio il diritto di lesbiche e gay di contrarre matrimonio è entrato in vigore in Svizzera, dove era stato approvato tramite referendum nel settembre 2021 dal 64% dei votanti. L’8 luglio è stato il turno della Slovenia, la cui Corte costituzionale ha dichiarato discriminatorie le norme che restringevano il matrimonio alle sole coppie di sesso differente. Cade così anche il grande confine psicologico tra «Est» e «Ovest» nel riconoscimento dei diritti Lgbtiq+. Un confine che vive ormai più nei preconcetti degli europei occidentali verso i paesi slavi che nella realtà, considerato che anche nella Repubblica Ceca a giugno è stata presentata una nuova iniziativa di legge per il matrimonio egualitario.

Il matrimonio egualitario non è certamente l’unica rivendicazione del monto Lgbtiq+ e, anzi, è spesso stato contestato come espressione di una deriva compatibilista e borghese del movimento. Nonostante ciò, è innegabile che questa battaglia sia una cartina tornasole per distinguere i paesi in cui le persone Lgbtiq+ godono di maggior rispetto, riconoscimento e influenza politica. 

L’Italia e la Grecia rimangono così gli unici paesi del «blocco occidentale» a praticare la segregazione matrimoniale . Questo nonostante nel nostro paese i diritti Lgbtiq+ godano di un consenso e di una visibilità sempre più grandi. Come spiegare questa situazione? Le risposte sono molteplici, ma due sono i fattori maggiori: il quadro partitico e quello di movimento.

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I falsi «partiti amici»

Dal punto di vista politico, l’Italia rappresenta la più evidente confutazione del fatto che diritti sociali e diritti civili siano in concorrenza, o che la causa delle sconfitte dei movimenti sociali vada ricercata nella troppa attenzione a quelli civili. Infatti, mentre da Zapatero a Hollande, da Cameron alla Merkel, i partiti responsabili dell’indebolimento dei diritti dei lavoratori hanno effettivamente usato il matrimonio egualitario per dimostrarsi progressisti, l’Italia palesa che è possibile mantenere un’agenda conservatrice sia sul lavoro che sui diritti civili. Ancor di più, è perfettamente possibile sia per il Partito democratico che per il Movimento 5 Stelle presentarsi alle elezioni come «progressisti» senza nemmeno doverne dare prova. Infatti, nessuna delle due alternative alla destra di Meloni, Salvini e Berlusconi ha inserito il matrimonio egualitario nella propria agenda. Al matrimonio egualitario non viene data nemmeno la dignità di una vacua promessa elettorale, a fronte di una destra che, proprio per voce di Meloni, si pone aggressivamente a favore della famiglia tradizionale.

Di quale progressismo stanno dunque parlando i due partiti? Dal punto di vista economico, i 5 Stelle possono almeno sventolare il reddito di cittadinanza e, in effetti, sembra che la campagna elettorale di Giuseppe Conte cercherà di puntare su questo risultato dei suoi governi. In quanto ai diritti civili però, la loro ambiguità è ben peggiore . Al Pd invece non rimane molto con cui costruire in positivo la propria identità «progressista». Insomma, mettendo insieme l’agenda economica di Draghi con l’opposizione al matrimonio egualitario il Pd si sostanzia propriamente come un partito liberal-conservatore.

Com’è possibile che i partiti possano impunemente definirsi progressisti senza nemmeno dover raggiungere il minimo sindacale del progressismo? La situazione è paradossale. Ogni giugno tantissime città italiane sono attraversate da Pride con centinaia di migliaia di persone senza che questo abbia alcun effetto politico sostanziale. Al contrario, oltre i nostri confini, i movimenti Lgbtiq+ sono riusciti a tramutare il consenso in risultati politici, costringendo i partiti più diversi a riconoscere non solo il matrimonio, ma moltissimi altri diritti (come testimonia il Rainbow index dell’Ilga ).

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Per una nuova strategia del movimento Lgbtq+

Di fronte a questa evidenza, il movimento Lgbtiq+ italiano dovrebbe riconoscere il proprio fallimento politico e ridelineare le sue strategie. Sembra però che né le associazioni mainstream, né i gruppi più radicali abbiano avviato una discussione pubblica su questo. Ogni volta che vado a un evento Lgbtiq+ in Repubblica Ceca, mi trovo di fronte alla campagna «Jsme fér» che raccoglie sostegno per il matrimonio egualitario. Qualunque cosa vogliamo fare e qualunque sia la nostra opinione sul matrimonio, in Italia non si è riusciti nemmeno a produrre qualcosa di così basilare. Quando qualche battaglia politica si palesa, come è successo con il Ddl sull’omotransfobia, è sempre solo a traino parlamentare e perciò non è il movimento a guidarne sviluppo e obiettivi. E i risultati sono evidenti.

Da settembre, con ogni probabilità avremo una destra al governo in una fase di contrazione economica. Fratelli d’Italia ha investito molto e a lungo nella sua battaglia contro «il gender» e per la famiglia tradizionale. Non c’è dubbio che tra i nemici che verranno scelti per deviare la tensione sociale del paese ci saremo noi omosessuali e, ancor più, le persone trans e non binarie. Nessun partito o alleanza «progressista» ci difenderà concretamente in parlamento e nella società. Se non vogliamo essere fagocitati ancora una volta dalle strategie altrui, la domanda a cui dobbiamo rispondere non riguarda unicamente le nostre idee e posizionamenti, ma le nostre prassi. 

Abbiamo bisogno che il movimento, o almeno una sua parte, fissi obiettivi politici strategici di medio e lungo termine attorno a cui organizzare il grande patrimonio di consenso e mobilitazione che si è sviluppato attorno alle nostre identità. Questo significa che ci serve una campagna simbolica chiara che occupi lo spazio pubblico, ci serve che una parte delle associazioni mainstream esca dall’attuale dinamica fallimentare con i partiti, ci serve che una parte del movimento più radicale affronti la negoziazione con la politica istituzionale. Non sarà semplicemente il posizionamento tra pride più o meno radicali a cambiare la nostra influenza sulla politica e sulla società, tantomeno un diverso elenco di richieste. Le idee sono fondamentali, ma altrettanto importanti sono le prassi, le strategie con cui le idee plasmano la società. Abbiamo bisogno di ridiscutere la nostra strategia e organizzazione politica. Ne abbiamo bisogno ora, perché ne avremo ancor più bisogno nell’immediato futuro.

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*Stefano Pozza ha militato nel movimento Lgbtiq+ e studentesco italiano. Da alcuni anni vive in Repubblica Ceca dove lavora come professore assistente di matematica presso l’Università Carolina di Praga.

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