Reddito di cittadinanza, c’è la stretta: cosa cambia e chi lo perderà

Reddito di cittadinanza, c’è la stretta: cosa cambia e chi lo perderà

C’è una svolta in vista per il reddito di cittadinanza, misura simbolo della legislatura iniziata nel 2018 e che si sta stancamente avviando alla conclusione con le elezioni politiche previste in primavera. Il reddito di cittadinanza resterà, non viene presa in considerazione, boutade a parte, l’ipotesi di una sua cancellazione. Ma cambia pelle. Tra i rifiuti che possono costare la perdita del beneficio viene incluso anche il “no” a un’offerta congrua a chiamata diretta da un datore di lavoro privato. E’ quanto prevede un emendamento presentato dal centrodestra al Decreto Aiuti, approvato dalle commissioni della Camera con il voto contrario del M5s. Ora dovrà passare l’esame del Senato entro la scadenza di metà luglio.

Reddito di cittadinanza: cosa cambia Cosa significa?

Vuol dire che le offerte congrue possono essere proposte “direttamente dai datori di lavoro privati” ai beneficiari che firmano il Patto per il lavoro, in cui è previsto l’obbligo di accettarne almeno una su tre. Il datore di lavoro privato comunica quindi il rifiuto al centro per l’impiego ai fini della decadenza. La modifica è il risultato di emendamenti identici riformulati presentati da Maurizio Lupi (Noi con l’Italia), Riccardo Zucconi (FdI), Rebecca Frassini (Lega), Paolo Zangrillo (FI), Lucia Scanu e Manuela Gagliardi (Misto). Un emendamento quasi identico era stato presentato da Marialuisa Faro, passata nel frattempo da M5s a Ipf, che lo ha ritirato. Il Partito democratico ha votato a favore, allineandosi al parere del governo.

La norma prevede inoltre che il ministro del Lavoro debba definire con decreto le modalità di comunicazione e di verifica della mancata accettazione dell’offerta congrua. Spetterà dunque al ministero del Lavoro, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, dettagliare le modalità di comunicazione e di verifica della mancata accettazione dell’offerta di lavoro congrua.

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Le norme attuali, modificate dalla manovra 2022 (e quindi in vigore dallo scorso 1° gennaio), prevedono che è considerato congruo un lavoro a tempo pieno e indeterminato se dista meno di ottanta chilometri (anziché 100) o comunque raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, nel caso di prima offerta; in tutto il territorio nazionale (anziché 250 km) se seconda offerta. Nel caso di un’offerta di lavoro a tempo determinato o parziale è definita congrua, sia se prima offerta sia seconda, se entro ottanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario o comunque raggiungibile nel limite temporale massimo di cento minuti con i mezzi di trasporto pubblici. In caso di rifiuto di un’offerta di lavoro congrua, scatta una diminuzione mensile di 5 euro per ciascun mese a partire dal mese successivo a quello in cui si è eventualmente rifiutata un’offerta congrua. Al secondo rifiuto, il sussidio viene revocato (in passato si doveva arrivare invece a tre No).

Esulta il centrodestra

“Una misura fortemente voluta dalla Lega, ispirata alla cultura del lavoro e utile al reperimento di maggiore manodopera, soprattutto nel settore turistico-ricettivo”, dicono la deputata della Lega Rebecca Frassini, prima firmataria, e i deputati Lega nelle commissioni Bilancio e Finanze commentano l’emendamento. “Grazie a un nostro emendamento al Dl Aiuti, approvato in commissione alla Camera, – spiegano – l’offerta proposta direttamente da datori di lavoro privati, quindi senza passare dai Centri per l’impiego, sarà considerata ‘congrua’. Chi la rifiuta può dire addio al sussidio”.

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Sulla stessa lunghezza d’onda il deputato di Forza Italia Paolo Zangrillo: “Grazie ad un emendamento di Forza Italia a mia prima firma approvato nel Dl aiuti è stato inferto un duro colpo al reddito di cittadinanza. Finalmente i datori di lavoro potranno proporre un’offerta diretta ai percettori del beneficio baipassando l’inefficace sistema dei centri per l’impiego e dei navigator”, sostiene. “Una norma molto semplice che risolve due problemi: rispondere all’attuale carenza di forza lavoro in diversi settori e smascherare finalmente chi vuole solo un sussidio e non il lavoro. Il dato politico rilevante del voto – aggiunge – è che l’inefficienza del reddito di cittadinanza è stata ufficializzata con un voto ampiamente maggioritario del Parlamento che rappresenta finalmente una svolta della quale ci auguriamo possa prendere atto anche il Movimento 5 Stelle”.

“I problemi che il M5s ha creato al Paese in questi cinque anni sono sotto gli occhi di tutti – dice il centrista Maurizio Lupi: “Abbiamo rimediato almeno a un piccolo danno che riguarda il reddito di cittadinanza. Con un nostro emendamento abbiamo equiparato l’offerta privata a quella pubblica. Se un percettore di reddito di cittadinanza riceve due offerte di lavoro, magari da un ristorante o da un albergo, e le rifiuta, se ne va a casa, cioè perde il reddito di cittadinanza e non riceve più questo tipo di assistenza dallo Stato”.

Il Movimento 5 Stelle ha votato contro alle novità introdotte dall’emendamento, ma senza far nascere, per ora, un caso politico in grado potenzialmente di creare nuovi problemi alla maggioranza già traballante. In questi anni il reddito di cittadinanza è finito nel mirino, in maniera spesso sconclusionata, del centrodestra e non solo. Ma il problema della carenza di lavoratori stagionali è molto più sfaccettato di quanto sembri. Se poco più di 500 euro al mese di “sussidio” (quella è la cifra media) risultano concorrenziali con moltissimi posti di lavoro temporanei, il problema non è certo il reddito di cittadinanza. O almeno, è scorretto incolparlo in maniera semplicistica. Alcune migliorie alla misura sono però inevitabili e doverose, e si va in quella direzione. Il reddito di cittadinanza resterà, ma probabilmente cambierà pelle, anno dopo anno.

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Fonte: Today.it

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