Siamo un Paese che evapora come una medusa al sole. Siamo prossimi alla rovina?


Per capire il senso delle proteste che erompono in tutta Italia basta scorrere l’ultimo rapporto 2021 Istat, fresco arrivato sui tavoli ministeriali e delle redazioni dei giornali. Non ci sono sorprese, solo conferme di uno stato prossimo al dissesto: quel dissesto che in pochi hanno il coraggio di denunciare da mesi, ritrovandosi puntualmente maledetti come irresponsabili e disfattisti. Per la semplice ragione che il governo ha scelto di puntare sul contenimento sanitario sacrificando, per malizia o per insipienza, la propensione al lavoro e al commercio. Ebbene, a 14 mesi dall’emergenza Covid, il sistema Paese, tradizionalmente fondato su un tessuto di imprese piccole e piccolissime, non poche le medie, pochissimi i grandi complessi, si ritrova oltre lo stremo; un cavallo morente con la prospettiva di fallimenti a catena destinati a lasciare l’Italia senza più spina dorsale né sistema nervoso. La situazione, certifica l’Istat, è talmente grave che, in mancanza di una riapertura del grosso delle attività, ogni ristoro o sostegno si rivelerà inutile. E anche questa tutto è tranne che una sorpresa, fermo restando che due governi non hanno saputo sostenere in modo adeguato, e comunque neppure paragonabile agli altri Paesi europei, le loro filiere produttive e commerciali.
Se è vero che nel solo 2020 le attività saltate sono state oltre 300mila; che le forme di aiuto si sono rivelate lacunose al limite dell’insulto, più che altro vane promesse e i fortunati, si fa per dire, ad averne beneficiato lo hanno fatto una ed una sola volta e per importi perfino inferiori a quelli annunciati. La sola Inps accusa un arretrato pari a 70mila pratiche per 300mila soggetti interessati, e l’arretrato dura da fine 2020. In totale, l’Istituto ha erogato il 40% dei fondi destinati alla cassa integrazione.
A questo punto, dopo 14 mesi di attività pressoché ferma, nella migliore delle ipotesi a singhiozzo, la situazione è la seguente: undici aziende su cento risultano solide, circa una su due “strutturalmente a rischio”, quasi altrettante in condizione di fragilità; significa che queste ultime tirano avanti malgrado tutto, ma indebitandosi sempre più. C’è poi il dato sul valore aggiunto, grandezza economica che ricomprende la ragion d’essere di una impresa: a causa del lockdown, questa dimensione intermedia è calata dell’11,1% nell’ industria, dell’ 8,1% nei servizi, del 6,3% nelle costruzioni e del 6,0% nell’ agricoltura.
Numeri che fanno spavento ma spiegano fino a un certo punto: bisogna raffrontarli, soppesarli e così si capisce che, per mero esempio, il 73% delle agenzie di viaggio è a rischio chiusura, con il comparto turistico che ha già perso 36 miliardi; altri non versano in condizioni migliori a fronte dei novecentoquarantamila disoccupati da marzo 2020, i 47 miliardi persi al mese, i 183 miliardi di Pil e 137 di consumi bruciati da marzo 2020 a marzo 2021 secondo Confesercenti, i 2,6 milioni di imprese sottoposte a limitazioni, il 30 percento di inoccupati, soggetti che non provano neppure più a cercare una occupazione. Sono numeri che fanno sembrare irrisori i mitologici 191 miliardi dell’Europa, del Recovery, posto che si tratta di fondi a debito, da erogare col contagocce e solo a condizioni estremamente stringenti e comunque non prima di 12-16 mesi, ammesso che uno solo tra i 27 Paesi dell’Unione non si metta di traverso. Un meccanismo assurdo, incompatibile con l’emergenza feroce, urgentissima italiana. Ma andiamo avanti: in forte rischio il 60% delle attività artistiche e di intrattenimento, il 59% nel trasporto aereo, il 55% nella ristorazione, di cui abbiamo già narrato.
Spostandoci sul comparto industriale, emerge la difficoltà della filiera della moda, chiaramente afflitta da impossibilità di proporre nuove collezioni da ormai 5 stagioni; l’abbigliamento inoltre accusa un 50% di difficoltà, le pellettiere il (44%, il tessile il 35%. fatalmente, questa apnea falcidia anzitutto le realtà minuscole, anche se gli stessi grandi marchi hanno esteso la cassa integrazione almeno fino al prossimo ottobre, a conferma di una scarsissima fiducia nelle prossime misure del governo. Tanto più che la pressione fiscale è in crescita, oggi pari al 52%, e quasi nessuna forma di sollievo è stata mai prevista. Anche così si può leggere l’abissale crollo del Pil pari ad un secco -9%.
Resta a questo punto da operare una comparazione locale. Lo stato di pandemia ha acuito le discrepanze territoriali e nei distretti, così che in 11 regioni, continua il rapporto Istat, “la metà o più delle imprese presenta almeno due di tre criticità che le denotano a rischio alto o medio-alto: riduzione di fatturato, seri rischi operativi e nessuna strategia di reazione alla crisi”. Il grosso di queste regioni in drammatica difficoltà sta nel Mezzogiorno, tre stanno al Centro, una al Nord. Ma la situazione fra le righe è un po’ diversa e neppure le analisi dell’Istituto di Statistica la colgono appieno. Le Marche, per dire, non figurano tra le regioni maggiormente in crisi e invece lo sono più di ogni altra. Per la semplice ragione che questa terra al centro d’Italia, la cui economia, specie nella parte sud, è quasi monosettoriale, a forte vocazione calzaturiera e residuale nel turismo, si basa tradizionalmente su una polverizzazione di attività semiartigianali a dimensione familiare o poco più. Ebbene, già le crisi a catena di fine anni Novanta e poi dei Duemila avevano pesantemente ridefinito i lineamenti socioeconomici della regione, con morìa di calzaturifici e laboratori e la faticosissima riconversione ad un terziario sottomesso. Quindi, le due catastrofi in successione, il terremoto del 2016 e il lockdown da pandemia nel 2020-21, hanno praticamente distrutto quanto restava. Qui gli aiuti di Stato si sono rivelati praticamente nulli. Qui non sussistono prospettive di rinascita. Qui gli splendidi borghi e villaggi dal mare ai monti Azzurri sono stati abbandonati ad un destino di lenta estinzione. Qui negozi, botteghe, esercizi calano le loro serrande come ghiglottine. Qui a riaprire sono solo curiose intraprese dietro le quali, confermano le forze dell’ordine, si cela per lo più la criminalità organizzata, italiana o straniera: a volte in sodalizio. Nell’indifferenza di un potere che persiste nell’attendismo suicida, negli annunci roboanti cui succede il nulla. Preoccupato, si direbbe, nell’unico, paranoico spasmo di proteggere se stesso, alla guida di un Paese che evapora come una medusa al sole.

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