Sorridi o popolo, che da un anno sei morto ma Sanremo nessuno te lo toglie


Sorridi o popolo che da un anno sei morto ma Sanremo non ti manca. Così puoi sollazzarti invidiando chi gode della libertà anche per te. Il Festival, secondo l’antico adagio, è lo specchio del Paese e c’è di vero almeno questo, che trattasi della più clamorosa conferma che la legge, anche in caso di pandemia, per qualcuno è più uguale. Cialtronesco Festival, cresciuto sulle bugie, sulle recite, sul dire e disdire. Al punto che si teme abbia stufato prima di cominciare. Ma andrà a finire al solito modo, che comunque vada sarà un successo anche perché il convento non è che passi molto altro. Dunque l’evasione restando nella gabbia, il miraggio di una normalità dimenticata. Certo quest’anno il gran parlare si fa sul nulla come non mai, sentite Amadeus che si racconta come il superstite di un incantesimo stregato: “L’Ariston è un fortino. È quasi una città fantasma. L’anno scorso alle 11 di sera qui era pieno di persone. Però sono tranquillo sul fronte sanitario”. E anche su quello delle banalità. Poi si arriva al patetico: “Fiorello è fondamentale, lui mi ripete meno male che ci sei e io gli dico no meno male che ci sei tu”. Sorridi o popolo, che a Sanremo è il trionfo dell’amore che vince e il male che perde.
Per cosa? Per un Festival che vuoi o non vuoi nasce col peccato originale del privilegio e la storiella del sacrificio, “lo facciamo per voi, per farvi divertire” quest’anno difficilmente reggerà. Anzi rischia di suonare ipocrita, insopportabile. Un Festival che era già stabilito da un anno, ma si è finto di tenerlo in dubbio a scopo di ricatto. Un Festival dove la regione ospitante passa il giorno prima in zona gialla mentre il resto del Paese si avvia alla arancio, alla rossa. Dove la vigilanza contro i dannati assembramenti verrà assicurata dall’esercito, i marines, le teste di cuoio che saranno patetiche, velleitarie perché non puoi militarizzare una cittadina e non li tieni i fanatici di Orietta Berti o dell’ultimo carneade che neanche riconoscono. Dove pletore di cantanti si avvicenderanno coi loro sermoncini sulla prudenza, sulla necessità di stare chiusi, di non vivere ma intanto loro stanno là. Dove si sa benissimo che la metà della gente, orchestrali, maestranze, artisti, ospiti, parassiti, figuranti, questuanti, giornalisti sono o saranno positivi ma si metterà tutto a tacere. Dove locali e ristoranti sono off limits per tutti, salvo quanti dell’organizzazione Rai, che poveri cristi dovranno pur mangiare. Dove l’ultima sconosciuta, certa supermodella 22enne di Brescia, se ne esce out of the blue su Twitter per proclamare che è stufa lei di irresponsabili che pigliano l’aperitivo alla movida, poi vai a vedere chi sia questa e trovi che è una che “salirà sul palco dell’Ariston”. Il palco dell’Ariston, l’ “apriti Sesamo” che spalanca tutte le porte anche quelle dell’indecenza.
Un Festival dove tutti praticano la virtù della casta Susanna; dove i discografici prima fanno la voce grossa e poi non dicono più niente, anche a loro sta bene la grande liturgia che se ne fotte della pandemia. Dove vedremo in collegamento per una settimana gli stessi conduttori fanatici di programmi propagandistici che se vedono due mascherine storte, distanti ottanta metri, tolgono il collegamento inorriditi. Dove Amadeus si traveste da Celestino V ma è solo teatro, sta solo negoziando più potere che infatti gli viene concesso. Dove tutti i teatri restano sbarrati salvo l’Ariston delle ugole di latta. Dove i conflitti d’interesse non sono conflitti, sono concerti, la famiglia Amadeus prende tutto, lui direttore, la moglie al prefestival e gli scrupoli se li risolvono come segue: “Marito mio ti creo problemi? Se ti creo problemi lascio”. “No, ma quali problemi e perché mai?”. Che rettitudine, che dirittura morale!
Sorridi o popolo, il Festival ce l’hai e servirà a stordirti mai come stavolta, almeno per un po’ ti dirotti dalla conta allucinata e allucinogena dei morti, delle varianti, degli intubati, dei vaccini, dell’apocalisse. Potrai interrogarti sul senso dei versi, “dieci bocche sul mio cocktail
se è più facile scrivimi”, che pare l’esaltazione irresponsabile della movida, “in palestra tiene in piedi una festa anche di merda”, forse questa l’hanno scritta Ricciardi e Burioni, “Nella strada infinita la paura è la vita” e siamo all’esistenzialismo da giardinetti pubblici. Una settimana così, sera dopo sera e va bene, il convento questo passa e se c’è a chi piace non c’è ragione di negarglielo. Ma ci si lasci almeno dire che se l’unica eccezione all’isteria, alla criminalizzazione degli umani impulsi a uscire, respirare, vivere è questa, allora tanto messi bene non siamo.
L’Ariston sarà pure un fortino, ma ci stanno benissimo: sopravviveranno come gli ultimi eroi nella jungla e già Fiore e Ama programmano, cioè pretendono, la terza edizione tra un anno. Forti dell’antica massima, comunque vada sarà un successo e se non lo sarà noi diremo che lo è stato e lo diventerà. E siccome a Sanremo la logica è quel che si può fare si faccia, e anche quel che non si può fare, non c’è dubbio che Sanremo 2022 sarà lì, fortino o fortezza inespugnabile dai virus, le varianti, le pandemie, e perfino le stragi di governi. Sorridi o popolo, che nessuno te lo toglie il Festival, ammesso che tu riesca a sopravvivere da morto.

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