Stati generali del liberalismo: la povertà si può combattere in chiave scientifica, senza demagogia

Stati generali del liberalismo: la povertà si può combattere in chiave scientifica, senza demagogia

Lo Stato sociale è un argine al populismo. All’incontro degli Stati generali del liberalismo (vedi programma sul numero di Nonmollare qui allegato) se ne discuterà con economisti e personalità della politica italiana e non solo, in occasione di una nuova pubblicazione del celebre Report di William Beveridge, con un’introduzione di Giovanni Perazzoli.

La proposta politica ruota intorno a un punto forte: che cosa ci può dire ancora l’universalismo liberale di William Beveridge? Occorre prendere atto che Beveridge ha effettivamente cambiato la società europea. Nonostante i decenni passati dalla sua pubblicazione esiste ancora la tendenza a credere che lo Stato sociale sia semplicemente un modo di tamponare la povertà. Con la sua relazione, l’economista Gianfranco Viesti pone dunque la domanda da cui dobbiamo partire: lo Stato sociale è solo una risposta passiva alla povertà oppure è una risposta attiva che si è dimostrata capace negli anni di potenziare l’ascensore sociale?

Sulla questione discuteranno personalità che hanno in comune, su questi temi, grande esperienza e grande competenza: Giorgio Benvenuto, Rosy Bindi, Roberta Carlini, Alessandro Roncaglia, Graham Watson. Gli Stati generali del liberalismo sono dunque dedicati a un tema liberale, che l’opinione pubblica fatica però a classificare come liberale. Sul tema della povertà occorre tornare a riflettere dopo l’introduzione anche in Italia di un reddito di cittadinanza sul modello europeo. È una riforma che soffre senza dubbio di una certa improvvisazione, ma contro la quale si sono scatenati pregiudizi che nascono dalla storia italiana, sia della destra e che della sinistra. Siamo ancora lontani dal modello sociale europeo. Occorre impedire che la povertà venga confinata di nuovo ai margini. Nella prospettiva di Beveridge, lo Stato sociale che funziona è una risposta attiva in chiave liberale, sempre che del liberalismo si abbia un’idea coerente con la sua storia e con i suoi ideali. L’universalismo ha cambiato il volto dell’Europa: ma che cosa c’è ancora da fare in Italia? Il fallimento delle risposte demagogiche e populiste impone di riflettere sul successo decennale del modello sociale europeo.

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Oggi il concetto di povertà non è più quello degli inizi del 900. La povertà non è più vista come un fallimento individuale, ma come un fallimento dell’amministrazione pubblica. Dal punto di vista concettuale, l’universalismo ha mutato l’idea di povertà, riconoscendo che la povertà non è solo un problema morale o di “buona volontà”: è un problema che può essere affrontato, secondo Beveridge, in chiave scientifica, senza demagogia. L’origine della povertà nasce infatti da una mancanza che si trova a monte e che non può essere risolta a valle aiutando “i poveri”. Lo Stato sociale deve intervenire prima che la povertà si determini nei suoi effetti estremi. Il punto su cui occorrerà ancora riflettere a proposito del Report di Beveridge è che l’universalismo liberale taglia il rapporto di dipendenza del povero dal potere, limita il potere dal punto di vista della sua capacità di creare clienti e consenso e valorizza l’individuo. Lo Stato sociale è una parte essenziale della rivoluzione liberale.

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