Terrazza Sentimento, Alberto Genovese da mostro a ragazzo fragile


La faccenda delle feste criminali di Alberto Genovese, quello di Terrazza Sentimento, sta finendo in assoluzione generale: vittima lui e vittime le sue vittime. Di cosa? Delle circostanze, della debolezza che è comune agli uomini, non l’aveva già detto sant’Agostino che “il bene che vorrei fare non lo faccio, il male che non vorrei fare lo faccio?”. E allora chi siamo noi per giudicare? Questo Genovese è uno dei miracolati della finanza truffaldina e incomprensibile: da sconosciuto in pochi anni mette insieme 150 milioni con una start up, però poi si legge che è pieno di debiti. Si vede che anche questo faceva “il frocio col culo degli altri”, come spiegò una volta con sublime delicatezza un altro maneggione, Stefano Ricucci, per dire che nella finanza globalizzata e truffaldina tutto è incomprensibile ma si risolve nel gioco delle tre carte, prendi i soldi e scappa. Questo modo di farsi ricchi seminando bancarotte non può prescindere dal controllo dei media e difatti i media si attivano, Genovese da mostro a ragazzo fragile e le sue ancelle figliole normalissime, finite per chissà quale congiunzione astrale a feste dove il laido regnava sovrano. Sempre più testate, sempre più siti pronti a normalizzare, a edulcorare. “Alberto”? Una pasta d’uomo, solo che dopo essersi imbottito di coca per due o tre giorni diventava feroce, sospettoso e non si teneva più”. Ma sì, che vuoi che sia, lavorava tanto. Le malcapitate? Passerotte ingenue, capitate per caso, “tutti andavano alle feste di Genovese”. Se ci andavano tutti come mai la selezione all’ingresso era spietata e i guardaspalle minacciavano e legnavano chi provava a imbucarsi?
Chi ha un minimo di pratica sa che niente avviene per sbaglio, che a certi trattenimenti ci arrivi solo per una trafila di segnalazioni, di selezioni accurate. Sa anche quello che accade una volta dentro: la droga a libero consumo, la stanza da letto dell’anfitrione trasformata in sala delle torture. Ma è stata “sfortuna, solo sfortuna”, ripetono i media complici, “può capitare a chiunque, anche a te che stai leggendo”. A me? No, non è proprio così e allora i media conniventi si avvitano in spirali di contraddizioni: “le vittime siete voi”, ma vittime di una vittima, così che il colpevole non si trova perché non c’è. Da cui quel fastidioso mettere le mani avanti: “Non sono escort, non ragazzine pronte a tutto, sono ragazze normalissime che per una serie di leggerezze, di errori di valutazione si sono ritrovate nel posto sbagliato nel momento sbagliato”.
Se la normalità è questa! Gli errori di valutazione sono in realtà calcoli precisi, gelidi, che mettono in conto qualunque conseguenza. Intanto non sono ragazzine se hanno venti, ventidue anni, se già da anni gravitano in quel sottobosco fatto di agenzie che spesso contrabbandano il meretricio. Ma la colpa è del “sistema”, anzi il “sistema Milano”, che poi è lo stesso a Roma, Palermo, Bologna e ovunque. Insomma “di Satana in persona”, come dicevano i frati di Trinità (“Mai sentito, dev’essere un professionista dell’Est”). Certe cronache suonano incredibili, invereconde: “Come si fa a non essere curiose a vent’anni”. Curiose? Anche le rispettive famiglie vanno vittimizzate, “potrebbe succedere anche a voi che credete di sorvegliare i vostri figli”. Ma se sono cose normali, feste qualunque, se trattasi di innocenti evasioni, curiosità acerbe, da sorvegliare cosa c’è? Sia come sia, queste vittime non si sa bene di chi e di cosa, brutalizzate, traumatizzate, trovano subito modo di vendere il loro vendersi a televisioni e giornali. La prima ad uscire allo scoperto, come si usa dire, la trovarono due giorni dopo a cena con i compari di Genovese e i legali, sospettando oscure tresche, abbandonarono l’incarico per decenza professionale.
Comportamenti incomprensibili o fin troppo scoperti, ragione per cui occorre spingere sulla umanizzazione patetica delle sedotte e abbandonate, ovviamente ritratte con dovizia: “Eccole, ridono felici, malgrado tutto, abbiamo avuto una infanzia felice, eravamo amate e incoraggiate, io so pure fare le lasagne e le orecchiette”. Ragazzine perdute ma alla buona, con le orecchiette. Tutta una polvere, una fuffa di “comunicazione, design del look, art director, booking, casting”, le professioni del nulla che mascherano, lo si sappia o meno, professioni più antiche e sperimentate. Qual è il sogno di queste lolite alle lasagne? Ma è chiaro, finire in televisione, troniste o peperine o corteggiatrici, aprire una pagina social e fare i soldi con le pose; se il prezzo da pagare è qualche notte da incubo, ebbene che si paghi, tanto al risveglio non ci si ricorda niente. Stando così le cose, può passare tutto. “La coca? A 20 anni? Beh, chi è che non la prende?”. “Le feste coi pregiudicati? E che ne sapevamo noi?”. “Cosa ci stavamo a fare? Beh, ci ha portate un amico di un amico di uno che conosceva Paolo”. Per nome, come un intimo, uno per il quale non si serba rancore, uno che alla fine ti ha fatto un favore o col quale hai scambiato un favore. La banalizzazione è potente, lo stravolgimento dei fatti totale. L’ipocrisia del politicamente corretto impedisce di chiamare le cose col loro nome ma non rende un gran servizio alla verità e men che meno all’informazione. Ma può ancora chiamarsi informazione un contesto in cui i giornalisti sono influencer? Fra le cose poco chiare, anche l’atteggiamento dei condomini, che per due anni hanno vissuto all’inferno ed erano rassegnati all’idea che Genovese comperasse un altro piano per allargare il grande bordello. Ed è vero che i gorilla di Genovese, e anche gli ospiti, facevano paura, ma gli inquilini sono tutta gente facoltosa, provvida di mezzi, al piano di sotto c’era pure il ballerino Bolle: perché non si sono coalizzati, perché hanno subito tutto fino a che la situazione non è scoppiata si direbbe fisiologicamente? È pur vero che la polizia a volte sta a guardare, non ascolta, non interviene, ci sono di quei funzionari imbottiti di teorie savianesche che scialano in formule savianesche: “Bisogna risalire all’origine, ricostruire il contesto, creare un mondo migliore”. Poi magari si scopre che qualcuno partecipava al banchetto. Ma intanto che si ricostruisce il contesto, le vere vittime impazziscono.

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