Via dallo strazio di una vita invivibile

Ci vorrebbe Pietro Germi. Quel suo film (del 1961), Divorzio all’italiana, fu decisivo per sbloccare l’impasse sulla legge che consentiva di porre fine a un matrimonio disastrato. I tempi erano maturi e il film diede forza alla mobilitazione di radicali e socialisti e costrinse il parlamento a legiferare.

Una simile, trascinante pellicola occorrerebbe oggi sul fine vita. E’ scandaloso che le forze politiche non riescano a trovare un compromesso e ad approvare una legge in grado di definire le modalità con cui affrontare quello che sta diventando un problema sociale: il diritto, per chi lo vuole, a una morte dignitosa.

Sono ovviamente da considerare con favore i progressi della medicina che, insieme a un maggiore benessere, stanno consentendo di allungare le aspettative di vita. Però questi progressi stanno pure permettendo di allungare a dismisura una vita vegetativa, che non può essere imposta. E’ opportuno tenere conto di sensibilità diverse poiché la questione è delicata. Ma è disdicevole che la contrapposizione tra chi propugna l’eutanasia (anche se mascherata) e chi fa muro perfino non ammettendo la sospensione dell’accanimento terapeutico stia bloccando il raggiungimento di un punto di equilibrio, essenziale per dare certezze ed evitare un insostenibile fai-da-te.

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Gli ultimi esempi coinvolgono la moglie di Antonio La Forgia, ex-presidente della Regione Emilia-Romagna, che ha ottenuto la sedazione profonda del marito (da lui richiesta) colpito da un tumore metastatico al midollo (con paraplegia e un dolore che neppure la terapia antalgica riusciva a controllare) solo dopo avere sollevato il caso sui social e per la notorietà della persona, e Federico Carboni, tetraplegico da 12 anni, che ha ricevuto l’assenso al suicidio assistito dal Comitato etico ma ha poi dovuto sottostare a una via crucis burocratica per ottenerlo.

Tante persone si ritrovano, purtroppo, in questa lista d’attesa e ognuna cerca una propria strada per fuggire dallo strazio di una vita invivibile. Un Paese civile non può lavarsene le mani e non occuparsi di tanta sofferenza. Una legge, magari perfettibile, va approvata con urgenza poiché le persone e le famiglie non hanno oggi regole (civili, non religiose) a cui attenersi.

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